L’Imposta Municipale Unica (magari!) trova il suo presupposto impositivo nella proprietà (o disponibilità tramite un diverso diritto reale di godimento) di un immobile sia questo una casa, una fabbrica, un negozio, un ufficio o un semplice terreno (agricolo o potenzialmente edificabile). In questo caso la capacità contributiva è rappresentata dal patrimonio ed in particolare da quello immobiliare che però a valori correnti ed al netto di prestiti e debiti rappresenta sicuramente la fetta più grande della ricchezza delle famiglie italiane. La base imponibile dell’IMU non è però rappresentata dai valori correnti (di mercato) degli immobili, ma da un valore fiscale determinato forfettariamente sulla base, almeno per i fabbricati, delle cosiddette rendite catastali, le cui tariffe d’estimo sono state aggiornate l’ultima volta nel 1988. Un Catasto non aggiornato ed alcuni criteri un po’ anacronistici di determinazione della consistenza dei singoli fabbricati, come quello basato sul numero di vani per le abitazioni (invece che sulle effettive superfici) possono essere elementi per un’applicazione dell’imposta non del tutto equa. Si pensi ad alcuni splendidi appartamenti posti nel cuore dei nostri centri storici accatastati ancora sulla base delle condizioni che tali immobili presentavano nei primi anni del secondo dopoguerra nonostante i diversi interventi di ristrutturazione e riqualificazione che li hanno ammodernati e resi estremamente confortevoli negli anni successivi e che spesso presentano valori catastali decisamente inferiori a quelli di case popolari di più recente costruzione in aree semiperiferiche o periferiche.
Inoltre nell’IMU le aliquote sono proporzionali e pertanto non è prevista progressività al crescere del valore del patrimonio immobiliare, sebbene siano previste aliquote differenti in ragione della tipologia di fabbricato e di come viene utilizzato al fine di cercare di mitigare il tributo con un qualche effetto solidaristico. Così per esempio l’abitazione utilizzata dalla famiglia a titolo di abitazione principale e le relative pertinenze (box, cantina, …) sono esenti (ad eccezione per ville, castelli ed abitazioni di particolare pregio), le abitazioni concesse in comodato gratuito a parenti stretti e quelle affittate con canoni agevolati rispetto a quelli di mercato godono di un certo “sconto”.
Per compensare l’esenzione da IMU delle abitazioni principali, a partire dal 2014, è stata introdotta un’imposta gemella nella sostanza chiamata TASI. Questa si calcola sulla medesima base imponibile e con aliquote in qualche modo correlate a quelle applicate alla sorella maggiore in quanto la somma delle due non può mai andare oltre l’1,06%.
Anche questa dunque è un’imposta patrimoniale anche se il soggetto passivo è meglio identificabile con colui che tra utilità dallo sfruttamento dei servizi messi a disposizione dai Comuni in cui sono ubicati gli immobili e pertanto in alcuni casi, rari e per importi assolutamente trascurabili, una parte della Tassa sui Servizi Indivisibili può essere anche dovuta dai conduttori di immobili presi in affitto.
Grazie all’IMU i Comuni ed in parte anche lo Stato incassano circa 16 Miliardi di euro all’anno e con la Tasi ne incassano altri 5, ma nonostante questo tali enti non sono autonomi ed autosufficienti e pertanto lo Stato Centrale continua a gestire trasferimenti e ridistributivi a loro beneficio, tradendo lo spirito per cui la stessa era stata ideata in un’epoca in cui la riforma sul federalismo fiscale avrebbe dovuto risolvere buona parte delle inefficienze e degli sprechi degli enti locali.
Se pensiamo che con l’imposta di successione e donazione che per definizione tassano in modo “straordinario” gli interi patrimoni che vengono trasferiti fra generazioni, lo Stato “raccimola” ogni anno poche centinaia di milioni di euro possiamo proprio dire che l’IMU e la sorellina Tasi sono le nostre più importanti imposte patrimoniali.