Nell’attesa di incontrare Cesare Verona ho avuto modo di entrare in sintonia con un’azienda che si percepisce al primo impatto voler lasciare un segno ben marcato.
Aurora è appena entrata nel “secondo di altri cento anni”, ma si tocca con mano quanto sia orientata al futuro, nonostante produca un bene che molti oggi potrebbero immaginare sulla strada del tramonto.
L’accoglienza ricevuta appena entrato nel salottino della palazzina uffici è stata garbata, puntuale ed essenziale. La morbidissima spessa moquette rossa, in cui sprofonda ogni passo, ti avvolge con calore, ma al tempo stesso trasmette anche una fortissima determinazione.
Dopo essermi accomodato, preparato il registratore ed il quaderno per gli appunti ho rinunciato a rivedere le domande preparate per l’intervista per cogliere l’invito dell’assistente di voler curiosare tra alcuni dei “modelli” più iconici riposti nelle vetrinette e tra gli ultimi ritrovati appena usciti dal laboratorio di ricerca e sviluppo che poi ho scoperto essere fisicamente proprio dietro quella prima porta. Mi ha subito colpito come le penne più “commerciali” fossero state opportunamente affiancate alle emozioni ed alle passioni che sono in grado di trasmettere i mondi dell’arte, della cultura, della musica, dello sport e della ricerca medica.
E così una lontana parente della stilografica, che tenevo nel portapenne ai tempi delle mie scuole elementari e medie, ha assunto i tratti di una vera e propria opera d’arte e come tale illuminata con, sullo sfondo, ora la splendida galleria Grande della Reggia di Venaria Reale, ora il Teatro Regio, il maestro Allevi o ancora l’artista Pistoletto. Leggermente meno intuitivo è stato l’abbinamento all’arte con le bottigliette dello storico amaro Strega, ma avrei dovuto notare subito che queste figuravano in secondo piano rispetto all’omonimo premio per la letteratura che ha accompagnato l’evoluzione dei gusti e della cultura italiana degli ultimi 75 anni.
Il mio girovagare ovattato nel salottino delle penne è stato improvvisamente interrotto dal suono fisso, forte e lungo di una sirena. Scopro affacciandomi alle finestre che non si tratta né di un’allarme militare, né di un cambio turno industriale, ma semplicemente dell’annuncio della pausa caffè delle 15,30. E’ una bella giornata e gli operai, per la verità più lei che lui, escono a prendere una boccata d’aria nel bel cortile dominato da due imponenti magnolie secolari. Dopo alcuni minuti tutti tornano ai propri posti di lavoro accompagnati dal suono di una seconda sirena.
Da lì a poco si presenta anche il Presidente ed Amministratore Delegato dell’azienda fondata nel 1919 per mano e portafoglio di un imprenditore tessile (Isaia Levi) e per consiglio di un giovane ragioniere visionario e la cui storia si interseca con quella di Cesare Verona senior (suo bis nonno) che dalla fine del 1800 figurava tra i primi importatori e distributori per l’Italia delle mitiche macchine da scrivere americane della Remington.
L’imprenditore arriva quasi correndo con il collo della camicia aperto e la cravatta colorata che sporge dal taschino della giacca. Si presenta con un telefono aziendale in mano, ma presto se ne farà portare altri due. E’ molto determinato, parla veloce e mi sorprende per la naturale disinvoltura con cui riesce a riprendere perfettamente il filo del discorso dopo qualsiasi interruzione resasi necessaria da quella che ama definire con il termine inglese di “execution”. La stessa operatività di cui ritiene sia molto carente l’intero Paese.
Subito dopo i saluti iniziali ho avuto la sensazione che il nostro incontro sarebbe stato molto proficuo ed interessante più che per le singole risposte per tutto quello che avrei potuto capire ed imparare osservando comportamenti, stile e modi di fare. Così non solo non ho registrato una sola parola, ma ho anche aspettato alcuni giorni prima di scrivere di quel pomeriggio per vedere cosa mi sarebbe rimasto maggiormente impresso nella mente.
Mi sono risuonate nella testa per quasi due settimane queste sue parole:
Si comanda uno alla volta, uno per volta.
Sono parole che Cesare ha sentito pronunciare dal padre e che ha ben compreso sulla propria pelle cosa significhino. Sono le ultime che mi ha riferito prima dei saluti finali, ma sono quelle che hanno dato il senso a tutta la chiacchierata.
Il Padre, mancato recentemente all’età di 90 anni, ha condotto l’azienda negli anni del boom economico e demografico degli anni ‘60, dando slancio e lustro a quella prima manifattura di penne nata negli anni immediatamente dopo la fine della prima guerra mondiale. La denominazione Aurora era stata data in segno di buon auspicio, per l’inizio di una nuova era che sperava poter essere luminosa e florida dopo gli anni di distruzione ed oscurità da cui si veniva.
Anche l’epoca del padre ha portato con sè nuovi entusiasmi e diversi eccessi, insieme allo slancio ed alla fiducia nel progresso. Cesare lo sa bene e si sforza di giudicare l’operato del padre con gli occhi di quel tempo, ma certo è che l’azienda di cui ha assunto la “piena responsabilità” solo nel 2008 era un’azienda completamente diversa da quella attuale che stava attraversando anni bui e difficili tanto che lo stesso papà era addirittura intenzionato a chiudere.
Per la costruzione della nuova Aurora, che il neo nominato AD aveva in mente, il lavoro iniziò dalla tinteggiatura delle pareti della fabbrica.
Nessuno degli storici dipendenti avrebbe potuto concepire che una semplice mano di vernice potesse servire a qualcosa per risollevare la coda della parabola che l’azienda stava vivendo e invece, per quello che Cesare aveva immaginato, quella rinfrescata è stata fondamentale.
I passaggi generazionali sono sempre faticosi e probabilmente si perfezionano sempre un po’ dopo rispetto a quando sarebbe stato preferibile. Sono difficili perché portano con sé lo scontro tra culture diverse, tra aspettative nel futuro inconciliabili, tra “l’uma sempre fait parej” e la necessità di cambiare di più e più in fretta di quanto chiunque potrebbe desiderare, tra immaginazione ed azione. Divergenze e tensioni che nel caso di un’azienda di famiglia passano dalla sfera lavorativa a quella personale.
La fiducia delle persone va prima conquistata e poi va costantemente alimentata. Si percepisce come l’attuale Presidente sia stato messo duramente alla prova e che di questo ancora un po’ soffra nonostante tutti i traguardi che ha già raggiunto ed i punti che ha già guadagnato.
L’Aurora di oggi ha mantenuto la sua connotazione di manifattura, ma sono cambiati lo stile, l’ambiente, la qualità. Nonostante si produca meglio, più velocemente, più economicamente, in un contesto ordinato, pulito, snello, che non è nemmeno paragonabile con quello di un tempo, è come se i traguardi raggiunti fossero solo dei semplici e volanti gran premi della montagna continuando la metafora con il ciclismo a sottolineare anche l’impegno profuso e la gran fatica che è stata fatta.
L’Amministratore Delegato è attento ad ogni movimento della sua Aurora, osserva e all’occorrenza interviene direttamente con un richiamo deciso, seguito dal saluto più amorevole che ci possa essere, con un’azione diretta in supporto di un proprio collaboratore, con un veloce scambio di battute, con un semplice gesto che raddrizza una panchina.
Mi ha accompagnato a vedere l’azienda e, come immaginavo, hanno parlato più le cose e le azioni che le sue parole.
Di parole, invece, Cesare ne ha spese tante di più per raccontare alcune storie legate alle “sue ragazze” ed alla Signora di origini austro-abruzzesi con cui è sposato (lui dice ridendo) da ben “75 anni” e che lo aiuta a vendere penne in ben 40 Paesi.
Terrò per me tutte queste parole tranne un aneddoto legato alla figura della Mamma.
Non conosco quasi nulla di lei ma, da quel poco che mi è stato raccontato, immagino la Signora Verona discreta e fine ma dall’occhio che brilla e dal pensiero acuto. E’ stata ed è al tempo stesso collante e testimone del percorso che l’Aurora di suo marito Franco e di suo figlio Cesare ha fatto in oltre 60 anni. L’unica a conoscere i segreti della stanza della memoria che vanno oltre a quelli fisicamente contenuti in quell’angolo di fabbrica che è stato volutamente chiuso a chiave per poter forse un giorno evidenziare cosa è stata la manifattura di penne Aurora.
La Signora è sempre stata tenuta fuori dalla porta dell’azienda, ma sono convinto che una parte del successo che le penne hanno raccolto e raccolgono in giro per il mondo porti anche il suo segno. Se questa supposizione avesse anche solo un qualche frammento di verità, gli spigoli dell’affermazione di cui sopra, che mi ha tormentato per alcuni giorni ma che ritengo profondamente vera, risulterebbero leggermente più arrotondati…chissà!