Il Freisa è un vino raro, costituisce a mala pena il 2% di tutto quello che ogni anno viene prodotto nel solo Piemonte e le 80.000 bottiglie che vengono tappate nelle Cantine Balbiano rappresentano una goccia in mezzo al mare, ma Luca ne parla come se fosse stato investito dalla vocazione di doverne diffondere la conoscenza e la “bevuta” in tutto il mondo.
Luca Balbiano mi accoglie nella sua cantina in un freddo e grigio pomeriggio di fine inverno, ci posizioniamo agli estremi della diagonale di un grandissimo tavolo quadrato e subito iniziamo a parlare con ritmo incalzante. Va a ruota libera ed è proprio come se volesse farmi capire come funziona quel loro mondo, come se volesse trasferirmi in poche ore una parte significativa di tutta la cultura e l’esperienza che ha assimilato in 38 anni vissuti insieme a suo papà Francesco ed al loro vino.
In azienda papà Francesco ha avuto ed ha tuttora un ruolo importante anche se pare che ogni tanto lamenti scherzosamente che nessuno glielo riconosca adeguatamente visto che nella denominazione della loro SAS che viene riproposta su ogni etichetta è rimasto il nome di Melchiorre che l’ha fondata nel 1941 ed ormai da diversi anni è proprio Luca l’indiscusso “frontman” di tutta la comunicazione della cantina.
80 anni di azienda vitivinicola, 3 generazioni e la quarta dell’età di Maya è già venuta a curiosare in cantina per controllare cosa facesse il padre.
L’azienda è famigliare nel vero senso della parola:
oltre a Luca che si occupa un po’ di tutto passando con disinvoltura dalla vigna al web, dalla cantina alle sedi istituzionali di più alto livello;
c’è sua moglie che, per amore, ha lasciato Milano per venire ad Andezeno a gestisce l’amministrazione e la burocrazia che, nel settore del vino come per il resto dei prodotti alcolici, tutti lamentano essere non solo troppa, ma anche troppo severa ed eccessivamente onerosa;
c’è papà Francesco che, non riuscendo a stare fermo un secondo nonostante si avvicini ai 75, presiede la cascina ed all’occorrenza continua ad essere un ottimo commerciale,
ed infine ci sono 2 dipendenti che danno una mano prevalentemente in campagna e in cantina.
Azienda al pian terreno, abitazione e museo del giocattolo al primo piano della splendida cascina nel cuore del raccolto centro abitato di Andezeno. Piccolo paese della collina torinese che affaccia verso Chieri e l’astigiano che pare evolvere nel tempo senza troppa paura del nuovo, ma mantenendo strette le sue radici contadine. Filosofia che lo stesso papà Francesco ha contribuito ad alimentare amministrandolo con lungimiranza come Sindaco per ben tre mandati in giovanissima età e quindi ormai quasi mezzo secolo fa.
Scopro con sorpresa che la ricerca e lo sviluppo in un’azienda agricola vitivinicola si faccia più in vigna che in cantina. Cambia il clima, il terreno, le specie di vite e pertanto le tecniche di coltivazione devono continuamente evolversi per sperare di continuare a raccogliere un’uva di ottima qualità. Per come si sono evolute le tecniche di vinificazione e raffinate le attrezzature utilizzate in cantina è infatti la materia prima a fare la differenza per un prodotto finale di eccellenza e non semplicemente buono.
La cosa che più mi ha sorpreso della chiaccherata con Luca sono state le sue frequenti citazioni in latino. Da un vignaiolo, seppur di ultima generazione, mi sarei aspettato più facilmente qualche detto o modo di dire piemontese e invece è prevalsa la sua cultura classica. Bisogna osservare che sia papà Francesco, sia Luca hanno studiato al liceo classico e mentre il primo ha poi proseguito gli studi laureandosi in chimica il figlio si è laureato in giurisprudenza, ma entrambi, innamorati della propria terra e delle sue tradizioni non hanno avuto dubbi nel mettere i loro studi a servizio di un lavoro e di un’azienda che ritengono molto legati al territorio, alla sua comunità e che nell’insieme possano restituir loro molto di più di qualsiasi altro mestiere.
Con questa cultura di fondo Francesco per una vita intera ha collezionato e curato oltre ai giocattoli che aveva tanto desiderato quando è stato bambino negli anni ’50, attrezzi contadini.
Attrezzi di uomini di un’epoca in cui braccia e mani, oltre che ovviamente a testa e voglia di fare, avevano ancora un ruolo fondamentale per mettere insieme il pranzo con la cena e per produrre ricchezza.
Luca invece ha lavorato anni per trovare l’intesa con l’Unesco, la Sovraintendenza delle belle arti, il ministero dei beni culturali, la Città di Torino e fior fiore di funzionari pubblici per ottenere la concessione di poter recuperare l’originaria vigna della Villa della Regina che svetta sopra la Gran Madre e Piazza Vittorio sulla direttrice di via Po’ e Piazza Castello. Un progetto ambizioso, visionario, in cui si sapeva ancor prima di iniziare che l’impegno in termini di tempo e risorse da doverci dedicare non sarebbe mai stato ripagato dall’uva che si sarebbe potuto produrre su quei terrazzamenti, ma che era bello e forse giusto provare a perseguire nell’interesse oltre che dell’azienda, anche della famiglia e dell’intera comunità torinese. A distanza di una decina d’anni la vigna cittadina di Torino sta diventando essa stessa oggetto di attrazione e menzione turistico culturale al pari di quella ancor più piccola di Montmartre a Parigi.
E’ stato bello percepire da Luca che nonostante la coabitazione fra generazioni nella gestione di un’azienda sia complicata, le naturali scaramucce che sovente sono nate con il padre finora sono sempre state superate senza eccessivi traumi. In qualche occasione confessa Luca di essersi però giocato il Jolly della fiducia.
E’ ancor più bello e piuttosto raro sentire che il figlio è contento di avere ancora il padre vicino nell’operatività aziendale.
Fa piacere anche sentir riconoscere che la maggior esperienza del padre porti la necessaria serenità per poter prendere decisioni di più ampio respiro senza aver l’ansia del breve termine.
E’ interessante scoprire che abbiano entrambi la predisposizione e l’interesse ad investire in periodi anticiclici o imboccare strade un po’ in controtendenza rispetto alla piega del mercato.
E’ curioso sapere che Francesco per un lungo periodo della sua vita in età analoga a quella di Luca oggi partisse ogni anno verso gli Stati Uniti con le bottiglie nella valigia per andare a venderle in America insieme ad un pezzettino della cultura e della storia della sua Andezeno e che Luca si stia attrezzando con i più recenti ritrovati social che la tecnologia mette oggi a disposizione per cercare di fare altrettanto nei confronti di un panorama di potenziali clienti ancora più ampio e trasversale per cultura, età ed angolo di mondo in cui vive…
Segnalo infine come anche in questa seconda traccia la mamma, sebbene mai direttamente coinvolta nell’operatività aziendale, abbia giocato e continui ancora a giocare un ruolo determinante nell’assunzione di molte decisioni importanti. Luca racconta come la sua opinione da semplicissima “donna della porta accanto” sia fondamentale per non correre il rischio di diventare troppo sofisticati, di produrre vini che solo palati molto fini potrebbero comprendere, di mettere in campo azioni che la gente della strada non riuscirebbe ad apprezzare pienamente…
Chiedo infine a Luca come avessero gestito in famiglia il rapporto con le altre donne di casa ai fini di un loro coinvolgimento in azienda. La cosa è stata molto semplice e naturale risponde lui sorridendo un po’ sarcasticamente: “Le mie sorelle hanno scelto di non lavorare in azienda perché non avrebbero mai potuto anche solo immaginare di dover rinunciare ad un fine settimana per dedicarlo ad accompagnare i clienti in cantina o per gestire delle lavorazioni o dei trattamenti in vigna che il meteo imponesse di non rimandare.”
Sono però convinto che anche le sorelle siano orgogliose e responsabili quanto lui del cognome che portano e dell’azienda del nonno Melchiorre che, seppur da fuori, continuano a rappresentare ed osservare.