Dicono che i lupi non attacchino l’uomo, ma crederci è ben diverso dal sentirlo semplicemente dire…
Questa mattina dopo alcuni giorni dolcemente rallentati dalle festività natalizie la sveglia ha suonato alle 5 e zerozero. Dopo l’immancabile abbondante colazione, i preparativi per la partenza terminano con un bacino a mamma e bimba che rimangono sotto le coperte. Mi allaccio quindi gli scarponi e tiro dietro di me la porta di casa. Quel semplice gesto già ripetuto decine di migliaia di volte questa mattina mi ha emozionato, manco stessi partendo per chissà quale avventura.
In fondo si tratta semplicemente di scendere nel bosco per arrivare fino a Bardonecchia e prendere il treno per andare in città, ma è buio, tira vento, fa freddo e devo andare a piedi. Sono pochi chilometri di stradine e sentieri da percorrere in discesa e non mi andava di chiedere alle mie "signore" di accompagnarmi in auto così presto.
Credo di essermi fatto un po’ troppo suggestionare dalle carcasse dei tre cervi scoperte da Ruben e Dante sulle pendici più ripide della montagna che ieri pomeriggio, con Maya e diversi altri amici, anche noi siamo andati a visionare. Eravamo in compagnia anche di un anziano cacciatore che ci ha descritto nei minimi dettagli quello che restava di quegli imponenti ungolati. Visto che i resti dei tre cervi erano a poca distanza l’uno dall’altro si è supposto che fossero stati sorpresi nella notte, quando stanno vicini ed uniti, da un branco di lupi che da qualche anno sono tornati a popolare anche le nostre montagne.
La curiosità e lo stupore aveva regalato a Maya ed agli altri bambini una forza ed un'energia impressionante tanto da riuscire ad arrampicarsi quasi correndo su terreni che mai avrei pensato fosse riuscita a percorrere. Maya ci ha ripetuto che lei non ha paura di niente ad eccezione dei “mostri”.
Se con meno di 5 anni Maya non ha paura di niente perché io questa mattina ero invece turbato dall’abbandonare la zona illuminata della piccola borgata da cui partivo?
Il vento con il suo brusco passaggio tra alberi, staccionate, baite e muri a secco crea suoni di vario genere, accentuando fruscii e rumori non ben decifrabili che disturbano la mia percezione dei segnali potenzialmente fonte di pericolo. Nonostante tutti i miei sensi siano al massimo delle loro potenzialità, mi rendo conto di essere completamente incapace di percepire quello che mi circonda. La luce del cellulare è impotente rispetto al buio del bosco e quindi con la falsa percezione di sentirmi più sicuro decido di scendere lungo la strada asfaltata invece che per i sentieri più brevi, ma più impervi. Il cellulare illumina a mala pena i miei passi e la strada mi sembra eccessivamente larga e priva di potenziali vie di fuga e quindi dal percorrerla al centro decido di passare sul bordo che guarda a valle con l’idea (anch’essa infondata) che un eventuale pericolo sarebbe comparso da monte e quindi avrei avuto l’opportunità di scappare buttandomi giù dalla scarpata.
Nonostante il freddo sto sudando e nonostante stia camminando di buon passo mi sembra di essere decisamente più lento del solito tanto da costringermi a modificare i tempi che avevo stimato per arrivare alla stazione. Ad un certo punto vedo la strada illuminarsi alle mie spalle. Mi giro. Arriva un’auto e penso: di sicuro si fermerà per darmi un passaggio fino in paese. E invece sicuro è morto e l’auto mi supera senza nemmeno accennare di voler rallentare. Nonostante il buon anticipo con cui sono partito rischio di dovermi mettere a correre per non perdere il treno. Accelero il passo, ma penso che non appena incontrerò il sentiero che taglia la strada lo imboccherò per accorciare le distanze. Scelta azzardata, ma perfettamente azzeccata! Dopo pochi passi percorsi nello stretto sentiero avvolto dagli alberi l’istinto mi dice di armarmi di un bastone che, sebbene sia mezzo marcio, mi regala una parvenza di sicurezza in più ogni qual volta lo batto sul selciato. La torcia del cellulare sembra essere più efficace ed avere più profondità nel fitto del bosco salvo farmi venire un mezzo coccolone quando in lontananza illumina per un attimo due grandi occhi bianchi che per fortuna altro non sono che le ruote di un segnale di direzione per mountain bike.
Finalmente vedo le luci del paese avvicinarsi: sono salvo, posso finalmente fermarmi per togliermi la giacca. Arrivo in stazione in maniche di camicia, in biglietteria mi guardano come se fossi un marziano. Mi ricompongo, sono felice di essere arrivato con ben 7 minuti di anticipo, sono felice di non aver incontrato nessun branco di lupi.
Nel fare il biglietto la macchinetta automatica mi chiede se voglio la fattura. La voglio. Sicuramente una grande azienda di Stato come Trenitalia sarà stata in grado di adeguare i propri sistemi informativi per gestire la fatturazione elettronica in vigore dal primo dell’anno, ma sicuro è morto per la seconda volta e la clessidra della macchinetta inizia a girare per un bel po’ fino a quando non si trasforma un anonimo messaggio che evidenzia che il terminale è temporaneamente in fuori uso. Nel frattempo si è creata una bella coda dietro di me. Mi scuso per aver fatto il danno!
Durante il viaggio ho scritto queste poche righe di buon auspicio per il nuovo anno appena incominciato e per ricordare, in primis a me stesso, che:
anche le strade che hai percorso tante volte spavaldamente o quasi senza rendertene conto, possono apparire decisamente più insidiose al modificarsi delle condizioni dell’ambiente che le circonda e/o dello “stato d’animo” interno del momento;
in situazioni di pericolo o anche solo di potenziale difficoltà si aguzza l’ingegno e si procede più lentamente consumando più energia;
se possibile è preferibile viaggiare con una buona visibilità;
sicuro è morto e difficilmente qualcuno ti darà un passaggio, ma partendo con un po’ di anticipo con buona probabilità riuscirai a prendere il treno!