Per tutta la settimana ho desiderato fissare nella mia memoria i due episodi e le strane sensazioni provate lo scorso fine settimana nei dintorni di casa, ma non ho mai trovato il tempo.
Venerdì però c’è stato un terzo episodio, di quelli spiacevoli che non vorresti mai vivere, ma che fanno parte della vita, che mi ha fatto capire che non era più tempo di rimandare.
IL GUADO
La bici è l’unico mezzo con cui è consentito allontanarsi un po’ di più da casa senza validi motivi salvo quello di ossigenare il cervello e stancare il nostro corpo. I colori dell’autunno avanzato sparati da una giornata di sole sono magnifici, sebbene spesso alimentino in me una strana nostalgia dello stesso presente che sto vivendo ed un pizzico di malinconia attiva. Le gambe girano bene, vado spedito e l’attenzione verso sassi, buche, radici, foglie, fango, rami costringono la testa a rimandare potenziali voli pindarici carichi di inquietudine. Gambe e testa sembrano coordinate da un pilota automatico, lavorano spedite ed in perfetta sintonia, ma ad un certo punto dopo una curva piuttosto ampia e veloce il sentiero presenta una discesa più ripida che porta al guado di un torrente. In men che non si dica lo sguardo è già andato oltre il guado per valutare quanto la successiva salita sia impegnativa.
In quel preciso istante il pilota automatico si è disinserito ed ho coscientemente deciso di mollare i freni per accelerare e cercare non solo di superare in velocità il guado più profondo del previsto, ma di mantenere un po’ di slancio anche per la successiva salita.
E’ andata bene e la salita è stata poi superata senza dover scendere dalla sella.
VOLA VOLA
Il giorno dopo invece l’autunno ci aveva regalato le sue nebbie e le sue foschie che confondono la vista e fiaccano gli entusiasmi, ma dopo il nostro pranzetto domenicale in famiglia ci siamo sforzati di andare a fare una passeggiata. Come sempre dopo aver superato la pigrizia per la partenza e l’enorme difficoltà del primo passo, è arrivata l’energia, la gioia ed il divertimento. Su un tratto di strada più largo e pseudo pianeggiante proseguiamo tenendoci tutti e tre per mano: Maya al centro, mamma e papà ai lati. Maya chiede di essere slanciata in alto nel tipico effetto altalena a cui da quando ha iniziato a muovere i primi passi abbiamo dato il nome di “vola vola”. Proviamo ad accontentarla, ma nonostante l’impegno il volo è modestissimo, anzi si confonde con un goffo salto spiccato da Maya. “Più in alto, più in alto!” Chiede Maya, ma tutti e tre improvvisamente abbiamo amaramente realizzato che il tempo era passato e la bimba era cresciuta. Le sue braccia si sono allungate mentre le nostre sono rimaste al palo, il suo corpicino pesa di più e noi probabilmente ci siamo leggermente rammolliti.
Sono cambiate le condizioni e non è più possibile spiccare il volo con quello che abbiamo sempre fatto in passato.
PAPA’
Venerdì mattina papà si è inchinato per cercare un libro nei piani più bassi di una libreria in camera da letto, ma ha grippato qualcosa della perfetta macchina che è il nostro corpo e lui invece di rialzarsi, come aveva automaticamente fatto per milioni di volte, si è coscientemente disteso a terra.
Con quel pizzico di lucidità e di energie che ha conservato, si è dato da fare per provare a raggiungere il telefono per chiamare aiuto. Il telefono era vicinissimo sul piano di una cassettiera alta poco più di un metro, ma comunque troppo alta per essere scalata da una persona che riesce solo più a strisciare su un lato.
Dopo un numero imprecisato di ore papà è stato trovato a terra, dove aveva scelto di adagiarsi e dove si era senz’altro dato tanto da fare, dalla fidatissima Luciana. Non una semplice domestica tuttofare, ma una persona speciale che ha condiviso la vita di almeno 20 degli ultimi anni della nostra famiglia. Quando lei mi ha telefonato sotto shock mi ha chiesto l’autorizzazione per chiamare l’ambulanza perché mio padre gliela negava tanto era stato terrorizzato ed ubriacato dallo spettro del Covid.
Quando sono arrivato da lui mi ha detto che doveva iniziare a fare un po’ di ginnastica perché non aveva più un muscolo degno di chiamarsi tale. Ho sorriso.
La prima ambulanza che è arrivata ben dopo di quando fossi arrivato io che comunque mi ero fatto 20 km in motorino era quella attrezzata per i sospetti Covid dotata solo di volontari ed infermieri…ci è voluto un po’ perché capissero che mio padre non aveva nulla a che vedere con il Virus e solo a quel punto hanno chiamato un'altra ambulanza “medicalizzata”.
Quando sono arrivati anche i medici mio padre era così lucido da riuscire ad indicarmi il punto preciso delle decine di armadi e librerie che ha in casa dove recuperare gli ultimi esami cardiologici che aveva fatto (per altro due anni prima), ma l’ho dovuto costringere in malo modo a farsi caricare su una barella per andare in ospedale…
Sono sicuro che alla stroke unit delle Molinette, riconosciuta come una delle migliori d’Italia per la cura di ictus ed ischemie celebrali, abbiano fatto e stiano facendo del loro meglio e colgo fin da ora l’occasione per ringraziarli nell’impotente speranza che papà possa non solo sopravvivere, ma riacquistare presto una discreta autonomia ed altrettanta qualità di vita.
IL TEMPO GIUSTO o GIUSTO IN TEMPO
Tutti e tre gli episodi sono caratterizzati da un denominatore comune dato dal fattore tempo.
Sembrerebbe essere un fattore neutro ed oggettivo che, a seconda dei casi, misuriamo in istanti, minuti, ore, giorni, stagioni, anni, secoli… Ma in generale il tempo si percepisce, si vive e la sua misura diventa soggettiva e relativa.
In un contesto in continuo e rapido divenire quello che conta è solo il tempo giusto che è quello che si misura quando si è costretti a disinserire il pilota automatico. Il resto del tempo passa senza che quasi ce ne si accorga o meglio ce ne accorgiamo a tratti ed in modo del tutto occasionale voltandoci all’indietro…
Esiste un unico tempo giusto per tirare i freni o per mollarli, per sterzare o proseguire dritto, per volare o per rimanere con i piedi per terra, per prendere il treno e non un treno qualsiasi, per sopravvivere o per morire.
Nel condurre la nostra bicicletta, nell’amministrare un’azienda, nel governare un Paese, nel vivere la nostra vita spesso, per fortuna, il tempo giusto non è un attimo, ma un arco temporale un po’ più ampio che tollera qualche errore di valutazione, perdona un po’ di pigrizia, smussa gli spigoli della gioventù.
Quando il tempo giusto ci concede una seconda chance però ce ne accorgiamo di sicuro perché abbiamo perso lo slancio ed anche quando hai avuto la fortuna di non fermarti nel bel mezzo del guado è sicuro che per ripartire si farà una fatica terribile.
Dacci dentro papà!
MALINCONIA
“Stato d'animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall'indugio rassegnato o addirittura compiaciuto, nell'ambito di sentimenti d'inquietudine o delusione.”
CONCLUSIONI
Libere a piacere…