Il conta chilometri, rigorosamente digitale, ha segnato 999 poco prima di arrivare nel minuscolo gruppetto di case abbarbicate a cavallo del colle di Superga. Sono state costruite chissà quanti secoli fa in un luogo tanto scomodo, perché ripido e scosceso, quanto fortunato, sia per la vista eccezionale di cui possono godere, sia perché si trovavano in un punto di passaggio obbligato per coloro che volessero dirigersi nella grande città da diversi paesi delle colline retrostanti Torino. Proprio per quel motivo in quella minuscola frazione di poche decine di residenti ci sono ben due trattorie, un piccolo mini-market, l’edicola che fa anche da tabaccaio, cartolibreria, chiosco dei gelati e bancarella di oggetti simbolo per i tifosi del Toro e fino a qualche anno fa c’era anche un "buco" di ufficio postale.
L’altra sera intorno alle 8 erano tutti perfettamente chiusi. Per i ristoranti la chiusura è obbligata, mentre per tabaccaio ed alimentari non vale più la pena stare aperti fino a tardi per cercare di intercettare il rientro dei pendolari giornalieri.
In quel punto la strada si biforca e, con il consueto passaggio nella strettoia tra le case, scollino per avviare la dolce discesa nel bosco in direzione di casa, ma ci ripenso.
Freno e faccio inversione ad U.
I primi 1.000 chilometri percorsi ad impatto zero sono un momento da ricordare e così con un piccolo strappo alla regola torno sui miei passi, ripasso davanti alle serrande abbassate degli esercizi commerciali e mi dirigo alla basilica di Superga in cima alla collina. Arrivato in punta dove la strada finisce il conta chilometri segna ancora 999. Dovrebbe mancare proprio poco per arrivare a mille ed allora inizio a girare a passo d’uomo nel piazzale per raggiungere questo traguardo volante nella mia testa ormai già mitizzato. Andando piano viene meno anche il fruscio dell’aria ed il silenzio dello scooter elettrico diventa per la prima volta quasi assordante…
E’ impressionante vedere come in quel piazzale non ci sia nemmeno un’auto, un motorino, una bici.
In una serata come questa di fronte ad un magnifico tramonto di una delle prime giornate tiepide dell’anno sarebbe stato normale vedere le panchine piene di coppiette di innamorati, i muretti con appollaiati qualche gruppetto di ragazzini, gli scalini della gradinata della basilica con qualche turista in posa per una foto ricordo, la fontana con qualche ciclista che si disseta, qualche frate che passeggia godendosi lo spettacolo dopo aver terminato i propri servizi ecclesiastici…ed invece non c’è nemmeno un cane.
Scattano finalmente i 1.000 km e, preso da una forte malinconia ed anche da un pizzico di ansia, scatto un paio di foto già sulla via del ritorno e salto nuovamente in sella per scappare via veloce con le lacrime agli occhi…
Al colle incontro il tabaccaio davanti alla sua edicola chiusa. Alzo la mano in segno di saluto. Alza la mano anche lui. Ci conosciamo bene, ma nessuno dei due apre bocca, nessuno dei due nemmeno accenna di interrompere il proprio movimento. Il distanziamento sociale ormai è parte di noi.
Come sempre ho dovuto far passare qualche notte per riuscire a metabolizzare e provare a reinterpretare in chiave positiva anche quel momento che mi avevo istintivamente ritenuto opportuno fissare tra i miei ricordi, ma che mi aveva lasciato l'amaro in bocca.
Oggi che scrivo i km sono già 1.100, tutti rigorosamente percorsi nel tragitto casa-ufficio-casa eccezion fatta per quell’unico chilometro di deviazione ingiustificata sopra descritto.
Chiunque di noi anche se si guarda indietro di 40 giorni può provare a ripercorrere tutta la strada che comunque è stata fatta anche stando a casa o, in alcuni casi, proseguendo la vita di prima con maggior intensità, stress e disagio…
Se non ci fosse stato il virus forse:
- ne avremmo potuto percorrere qualcuno in più ma a volte non c’è bisogno di fare il giro del mondo per capire cosa succede attorno a te;
- avrebbero potuto essere più variegati, ma forse non avremmo potuto percorrere altrettante strade della nostra immaginazione e scoprirne di nuove;
- avrebbero potuto essere meglio o più condivisi, fosse anche solo come nel mio caso per quel breve tragitto che spesso ero solito fare con Maya tra le gambe nell’accompagnarla a scuola, ma con lei ci siamo presi quel tempo per allungare ed arricchire le nostre colazioni ed è stato un tempo altrettanto bello.
Sono comunque piuttosto certo che, magari fra qualche tempo, avremo modo di ricordare e reinterpretare anche questi come dei bei chilometri.
Tornando nello specifico alla metafora dei miei realmente percorsi, i primi 1000 mi hanno permesso di scoprire ed apprezzare, ogni giorno di più il silenzio, la fluidità e la progressività di due ruote mosse nel caso di specie esclusivamente dall’energia del sole.
Accresce il mio orgoglio anche l’idea che quelle apparentemente semplici “due ruote” siano in realtà un ritrovato tecnologico, tecnico e stilistico di altissima qualità, tutto perfettamente italiano, frutto del pensiero, del lavoro e degli investimenti di un gruppo di entusiasti ragazzi e ragazze con sede tra le vigne della Franciacorta. Zona, tra l’altro, che nell’ultimo mese è stata tra quelle più duramente colpite dalla subdola violenza di questo invisibile virus.
Ci hanno appena annunciato che proseguiranno le misure di distanziamento sociale, restrittive per le persone e la nostra economia. Domani però sarà Pasqua e mi piace concludere questa ennesima pagina di quello che sta diventando una sorta di diario casuale di questo surreale periodo di immobilità con uno degli ultimi pensieri di speranza espresso proprio dagli amici di ME, originari ed originali sostenitori della mobilità positiva in relazione all’idea di un “paradiso ritrovato”:
Ad occhi chiusi si legge meglio dentro e poi si riscrive il mondo.