IL GATTO CON GLI STIVALI ED IL “REDDITO D’EMERGENZA”

C’era una volta un gattone selvatico che viveva nei boschi attorno a casa nostra.

Era grosso, dal manto folto, lucidissimo e perfettamente nero. Su questo spiccava il bianco degli occhi, luminosissimi e dalla vista eccezionale, dei denti fini ma aguzzi e delle unghie affilatissime. Era molto muscoloso e sebbene fosse capace di scatti rapidissimi e salti inverosimili, quando per caso aveva voglia di farsi notare anche da qualche essere umano si muoveva in modo estremamente lento e guardingo. Le zampe corte accentuavano questo suo atteggiamento, tanto che pareva quasi strisciare in mezzo all’erba o tra gli alberi del bosco. Si muoveva silenzioso, tanto che nessuno avrebbe potuto accorgersi della sua presenza nemmeno in autunno quando passava in mezzo alle foglie scrocchierelle cadute a terra. Tutti gli abitanti del bosco, compresi noi e la nostra giovane vicina di casa, lo rispettavamo e lo stimavamo per la sua orgogliosa e dignitosa indipendenza e fierezza. Sebbene fosse raro vederlo ci accorgevamo della sua presenza da tanti segnali che ci mandava: uccellini spaventati che si alzavano improvvisamente in volo da qualche fitto arbusto, tortine segnaletiche lasciate in punti strategici per demarcare il territorio, segni di unghie su tronchi d’albero o su grosse pietre, rumore di tegole mosse dai suoi passi sul tetto nel cuore della notte.

I segnali sparivano del tutto nei giorni di pioggia e, nel rivederlo dimagrito dopo prolungati periodi umidi, capimmo che era un gatto che detestava l’acqua.

Un giorno il gatto si fece vedere davanti a casa tutto acciaccato, spelacchiato in più punti e privo della sua lunga coda. La giovane ragazza vicina di casa, impietosita dalla sua vista, provò ad attrarlo a sé per offrirgli aiuto, ma il gatto la sdegnò proseguendo mesto, ma ancora decisamente fiero. La ragazza decise di lasciare un po’ di cibo sotto la tettoia della legnaia di casa ed il giorno dopo era sparito. Proseguì così per alcuni giorni fino a quando una mattina il gatto l’aspettò nella legnaia. Lei si stupì della sua presenza ed ancor di più del fatto che la lasciò non solo avvicinare, ma persino accarezzare. Il gatto si lasciò sostanzialmente adottare dalla ragazza ed in cambio di tutte le cortesie che riceveva (cure, cibo, riparo dal freddo e soprattutto dalla pioggia, coccole e carezze) rinunciò, senza nemmeno troppo sforzo, al suo vagare sotto le stelle fra boschi e tetti.

Riceveva gran parte delle coccole alla sera, sul divano, mentre guardavano insieme la TV. Da quella scatola luminosa e parlante il gatto ebbe la possibilità di scoprire l’esistenza di tanti altri mondi oltre a quello del bosco in cui si muoveva tanto agilmente ed ebbe l’opportunità di imparare un sacco di cose nuove.

Dopo diverse settimane trascorse felicemente insieme la ragazza dovette chiudere casa per partire come volontaria per una missione umanitaria molto impegnativa. Salutò a malincuore il gattone nero, che nel frattempo aveva ripreso tutte le sue forze e messo su qualche chiletto, e lo rispedì nel bosco nell’assoluta convinzione che avrebbe ripreso la sua vita di sempre.

Il gatto ci rimase piuttosto male e sebbene le ferite fossero perfettamente guarite e il suo pelo ricresciuto, notò subito che gli mancava qualcosa. Non aveva più la stessa sensibilità verso il mondo che lo circondava, nonostante, all’apparenza, continuasse ad essere il medesimo bosco di sempre che aveva frequentato con disinvoltura per tanti anni fino all’epoca dell’incidente.

Gli uccellini si accorgevano della sua presenza, scoiattoli e topi sembravano essere diventati molto più veloci ed astuti di come  li ricordasse e la notte appariva umida, fredda e buia come mai prima.

C’era un posto nel bosco che nel passato aveva sicuramente svolto la funzione di discarica di qualche famiglia di uomini. C’erano carcasse di vecchie auto, mobili rotti, rottami di elettrodomestici ed anche due piccole roulotte nel cui interno si erano conservati relativamente bene vecchi vestiti e qualche costume di carnevale per bambini.

Il gatto, rovistando in un baule, fu attratto dalla maschera di uno dei tre moschettieri. Si diede molto da fare con quel poco di forze che gli rimanevano per trascinare la mantella e lo spadino di plastica sullo scheletro di una vecchia poltroncina, indossò gli stivali ed un cappello a falda larga più grande di lui. Saltò su quello che rimaneva della poltrona ed avvolgendosi nella mantella si addormentò vicino alla sua nuova spada e davanti ad una vecchia TV nella convinzione di essersi adeguatamente protetto contro la pioggia che sarebbe potuta arrivare da lì a poco.

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