L’IMPORTANZA DELLE PAUSE

Rimasi molto sorpreso quando scoprii che nello spartito si potesse dare evidenza anche delle pause e della loro durata.

Alle elementari ci avevano insegnato a leggere e scrivere mettendo insieme singole lettere per formare le parole e tramite queste rispettivamente comprendere o esprimere pensieri più o meno articolati anche grazie all’uso della punteggiatura ma nessuno ci aveva mai fatto notare quanto potesse essere importante un momento di silenzio.

Il professore ci insegnò come nella musica questi siano invece importantissimi. Una pausa più o meno lunga non deve essere immaginata esclusivamente come un semplice momento per consentire al musicista di riprendere fiato, ma, nel contesto di una melodia, il silenzio può risultare molto espressivo e contribuire a dare significato ad una lunga sequenza di suoni.

Maya nella sua prima vera camminata in montagna, mi ha nuovamente sorpreso e mi ha fatto ricordare l’insegnamento di quel professore delle scuole medie che mi affascinava descrivendo su carta ogni suono che gli facessimo ascoltare.

E’ domenica, è il mio primo giorno di vacanza dopo un periodo di lavoro veramente molto intenso. Nonostante abbia dormito ancora una volta decisamente male, forse proprio per l’eccessiva stanchezza, mi alzo entusiasta e, vista la splendida giornata, propongo a mamma e bimba di fare una gita nel parco del Gran Bosco di Salbertand. E’ un posto di cui ho sempre sentito parlare, ma che non ho mai esplorato nonostante ci si passi vicino ad ogni viaggio da e per la montagna…Ci diamo come meta un rifugio di mezza montagna gestito da una giovane coppia e da una bimba poco più grande di Maya in quello che era ed in parte continua ad essere uno splendido alpeggio a 1.770 metri di quota.

Dall’esame della cartina si preannuncia come una tranquilla passeggiata all’ombra sia per effetto del bosco che per l’esposizione a nord-ovest con il solo particolare che si parte 750 metri di dislivello più in basso.

Alla partenza il cartello segnaletico indica 2 ore di cammino per Rifugio Arlaud, ma Maya non lo sa ancora leggere e si incammina guidando il gruppo sulla vecchia mulattiera piena di energia. Nonostante l’ombra fa parecchio caldo ed il sentiero sale deciso. Maya passa in seconda posizione e ci rimane un po’ stimolata dalla vista e dal racconto romanzato di tutte le scoperte che ci apparivano strada facendo. Il pino cembro contorto, l’autostrada delle formiche, il sentiero scavato a mano nella roccia da uomini che non esistono più, il blu della lavanda spontanea ad un certo punto non bastano più e Maya inizia a rivendicare il bisogno di una pausa. In realtà anche io e la mamma la gradiremmo, ma abbiamo camminato poco più di mezz’ora e con l’idea delle due ore per il rifugio cerchiamo di resistere alle richieste. Ci viene in soccorso una ragazza che incontriamo mentre scende in solitaria, che consola un po’ della nostra disperazione anticipandoci che presto la pendenza sarebbe diminuita e che avremmo incontrato un piccolo gruppo di mucche al pascolo. La malga diventa il nostro nuovo obiettivo intermedio, ma Maya lo condivide solo dopo avermi strappato la promessa che lì avremmo fatto una “pausa vera” intendendo come tale non quella per un sorso d’acqua o per osservare il panorama, ma quella con tanto di telo per sdraiarsi ed ombrellone!

Presto troviamo una radura a picco sulla valle in cui allestire il nostro campo, toglierci gli scarponi e sgranocchiare di gusto un po’ del nostro pranzo. La pausa ci consente non solo di far scendere le pulsazioni, ma di apprezzare meglio la strada che avevamo già percorso alzando lo sguardo verso le montagne dei dintorni ed un cielo blu cosparso di nuvoloni bianchi che salgono verso l’alto. Ci da nuova energia e prima di quanto potessi immaginare è la stessa Maya che stimola la nostra ripartenza.

Abbiamo incontrato diverse mucche, un pastore su una moto da trial, i ruderi di vecchie baite, quanto rimane di una vecchia teleferica e ci siamo concessi un paio di altre pause prima di raggiungere l’alpeggio e regalarci una fetta di torta al rifugio.

Una pausa che si rispetti prevede che ci sieda un attimo, si beva un sorso d’acqua e si chiaccheri di qualcosa che distragga la mente dalla fatica della salita e quando si torna a ridere per qualsiasi cavolata è possibile ripartire!

La discesa per un bambino è occasione di divertimento, mentre un grande la sente tutta sulle ginocchia…sulla via del ritorno il morale è alto ed il ritmo allegro, ma qualche pausa ci sta comunque bene anche perché la stanchezza dell’intera giornata inizia a farsi sentire e sul finire risuona nuovamente la temutissima domanda: “Ma quanto manca papà?!”

Credo che anche per un imprenditore, un professionista e per un lavoratore ogni tanto possa essere molto utile concedersi una pausa, una di quelle vere, in cui ci si possa permettere di alzare la testa per capire quanta strada si sia fatta e come. Concedersi una pausa per dare senso, scoprire diversi punti di vista, per riorganizzare le idee e per trovare nuovi stimoli e rinnovate energie fisiche e morali.

Per molte persone in generale e per molte imprese in particolare pare che il periodo di lockdown tra marzo e maggio sia stato vissuto come una lunga pausa forzata…sicuramente è stato un momento per riflettere su come reinventarsi alla luce dei profondi cambiamenti che la nostra società e le nostre economie stanno attraversando, ma non sono del tutto convinto che a tutti abbia fatto bene.

Le pause sono importanti, ma Maya mi ha anche insegnato che non devono essere eccessivamente lunghe perché in tale caso rischiano di spezzare esageratamente il ritmo e di far dimenticare non solo il percorso che si sta compiendo, ma persino la direzione che si stava seguendo. In casi del genere la ripartenza potrebbe essere faticosissima, se non addirittura impossibile, ma questa è un’altra storia.

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