Sono passati proprio oggi 20 anni da quando è stata scattata la foto che mi ritrae in mezzo a nonno Ernesto e zio Beppe 10 minuti dopo che ero stato proclamato dottore in economia e commercio. Non so perché tra tutte le foto scattate quel giorno avessi incorniciato quella con i più anziani della famiglia, il papà di mia mamma ed il fratello di mio papà, ma quell’immagine che avevo originariamente collocato sulla scrivania della mia camera da letto a casa dei genitori da quando è mancato anche papà ho pensato che dovesse accompagnarmi più da vicino e così l’ho portata nel nuovo ufficio.
Ora è posizionata in un nicchia di una libreria leggermente rivolta verso la porta d’ingresso della stanza in modo che la possa notare ogni volta che entro per mettermi al lavoro.
Ovviamente la può notare anche chiunque entri nella mia stanza, ma nessuno potrebbe mai comprendere tutto quello che significa per me.
Oggi svelerò qualche retroscena.
GENE RECESSIVO
La prima peculiarità di quella foto è che ritrae in un colpo solo gli unici 3 componenti di due famiglie con gli occhi azzurri nell’arco di 3 generazioni. Possiamo dire 4 generazioni ora che è nata anche Maya, i miei nipotini untori e ben altri 5 cuginetti di secondo grado figli dei miei cugini primi. Tre persone su decine e decine…
La probabilità che io potessi nascere con gli occhi azzurri era di appena il 10% eppure è capitato.
Questo per ricordarci che la casualità è parte integrante della vita, è quella componente che spariglia le carte, regala fortune o produce disgrazie a fronte delle quali a ciascuno di noi è demandata esclusivamente una reazione.
Anche le reazioni comunque possono fare la differenza!
SPESA O INVESTIMENTO IN ISTRUZIONE?
Tra le mani stringo la tesi che analizzava la spesa in istruzione sostenuta dall’Italia rispetto agli altri Paesi OCSE e cercava di evidenziare i punti di luce ed i coni d’ombra del nostro sistema scolastico partendo dalla scuola primaria per arrivare alla formazione universitaria e post universitaria.
Un lavoro che mi aveva proposto il professor Franco Reviglio che avevo accolto con entusiasmo e che mi aveva consentito di capire tante cose che non erano mai state insegnate ed acquisire una magnifica visione d’insieme del sistema che avevo vissuto e sperimentato per quasi 20 anni e negli ultimi anni di liceo persino cercato di cambiare. Al termine di quella ricerca mi sarebbe piaciuto poterne iniziare un'altra che potesse provare a misurare il ritorno dell’investimento (e non della spesa) in istruzione sia per i singoli studenti che per lo Stato mettendo in correlazione gli anni di formazione, i costi ed i mancati guadagni della stessa con la capacità di produrre redditi in futuro, con la speranza e la qualità della vita, lo stato di salute, i livelli di micro-criminalità e disagio sociale…avrei voluto cercare ed elaborare dei dati oggettivi che approfondissero quello che mi sono sempre sentito dire dai nonni ancor più che dai miei genitori ed ossia che lo studio mi avrebbe sempre portato qualcosa di buono in futuro. Mia mamma invece quando vedeva che mi scervellavo un po’ troppo e tendenzialmente mi incupivo era solita ripetermi quello che a sua volta aveva sentito dire da sua nonna ed ossia:
“Meglio un asino vivo che un dottore morto!”
Il mio professore di scienza delle finanze, all’epoca prossimo ai 70 anni, che era anche stato ministro delle finanze tra la fine degli anni ’70 ed i primi anni ’80 e poi nuovamente nei primi anni ’90 e tra un mandato e l’altro anche Presidente ed amministratore delegato dell’ENI era la dimostrazione vivente (e lo è ancora oggi) che l’investimento in istruzione avrebbe potuto premiare.
Certo che i tempi cambiano in fretta e lo stesso sforzo compiuto a distanza anche solo di 20/25 anni può portare a risultati significativamente diversi, anche se per misurarli e compararli sono consapevole che bisogna necessariamente avere la pazienza di osservarli nel lungo periodo.
Qualche tempo fa mio padre tutto entusiasta mi aveva fatto vedere la tesi che il nonno della foto aveva elaborato per laurearsi in ingegneria meccanica nel 1941. Si trattava di una dozzina di paginette dattiloscritte (sicuramente non da lui) cosparse di qualche formula di fisica che ai miei tempi probabilmente si sarebbe potuta elaborare nei primi anni del liceo scientifico eppure mio nonno ed ancor più suo padre, anch’egli ingegnere, hanno potuto beneficiare di un riconoscimento sociale che ancora oggi a distanza di decine e decine d’anni da quando sono morti qualcuno è in grado di apprezzare e riconoscere.
FAGGIO ROSSO
Dopo la laura alcuni parenti desiderosi di premiare il mio traguardo volante mi chiesero se avessi avuto piacere di qualcosa in particolare. Cercai di unire le forze per fare in modo che mi regalassero una pianta di faggio rosso nata da seme che avesse all’incirca i miei 25 anni dell’epoca.
Sebbene con alcune perplessità mi accontentarono e, a distanza di qualche settimana, la pianta fu messa a dimora nel nostro giardino al posto di una monumentale pianta di amarene che eravamo stati costretti ad abbattere alcuni anni prima. Un ramo di quella pianta di amarene aveva supportato una rustica altalena con cui da ragazzino avevo trascorso tanti bei momenti.
Quel faggio non andava solo a riempire un vuoto rimasto in giardino, ma mi avrebbe accompagnato con la crescita lenta dei suoi rami nel percorso lavorativo, professionale e di vita che mi apprestavo ad iniziare dopo 20 anni di studio e formazione.
La caratteristica del faggio è che, diversamente da molte altre piante, fa crescere i suoi rami dal basso allungandoli progressivamente verso l’alto, dando spazio a nuovi rami più giovani nei palchi superiori provenienti direttamente dal fusto.
I rami giovani non rappresentano quindi delle semplici ramificazioni di quelli più vecchi, ma rimangono cosa a sé sebbene protetta da questi ultimi che poco per volta si allargano per dar loro spazio al centro.
La pianta in questo modo risulta sempre armoniosa, elegante, compatta e maestosa anche in inverno quando priva di foglie
Quella pianta, tra i tanti significati che le avevo attribuito, mi avrebbe anche aiutato a ricordare in futuro, se mai avessi potuto dimenticare, tutte le esperienze maturate lavorando come giardiniere durante gli studi universitari.
Per 4 anni al mattino ho tagliato prati, potato siepi, curato orti, trapiantato fiori, potato alberi e al pomeriggio riposato la schiena sui banchi dell’università o viceversa, a seconda dell’alternanza dei corsi. Al mattino mi concentravo con la testa e al pomeriggio mi sfogavo con i muscoli…
IL TEMPO DELLE MELE
Il faggio in questi 20 anni è cresciuto molto più lentamente di quanto avessi mai immaginato, ma ha attecchito bene e questa è la cosa più importante.
Specularmente potrei dire altrettanto della mia professione da Dottore Commercialista.
Un mestiere tanto più faticoso e complesso di quanto avessi mai potuto credere.
Ho scritto credere perché quando dopo circa 18 mesi di pratica un collega allora ultracinquantenne, vedendomi scalpitante ed entusiasta, mi avvisò che ci sarebbero voluti almeno
10 anni per mettere la testa fuori dal guscio
Sorrisi senza credergli.
Con il senno di poi devo ammettere che aveva ragione.
Quando alcune sere fa quando ho raccontato di questo aneddoto alla nostra giovane praticante lei mi ha guardato con la stessa incredulità con cui probabilmente anche io avevo guardato il collega più anziano.
Ora che di anni di professione ne sono passati 20 potrei forse essere paragonato ad una gallinella che produce sporadicamente le sue prime uova o un galletto che emette i suoi primi timidi chicchirichì…
Non sono però né le complessità, né le difficoltà di questa professione a spaventarmi o a crearmi il leggero velo di frustrazione latente che mi accompagna bensì lo scarsissimo apprezzamento e riconoscimento da parte delle istituzioni e della società nel suo insieme per il ruolo che ricopriamo al fianco e al servizio delle famiglie, delle imprese, dei lavoratori e di tutta quell’ampia parte di popolazione che crede ancora di potersi dar da fare per contribuire a costruire un futuro migliore.
Quando riordinavo un giardino tagliando erba o rastrellando foglie a fine lavoro si vedeva la differenza e questa era percepita anche dal cliente. Inoltre spesso il cliente stesso aveva anche avuto modo di apprezzare l’impegno e la fatica profusa durante il lavoro e alla fine, non solo ti ringraziava, ma ti pagava con gioia. In questi 20 anni di professione ho impiantato, riordinato e curato giardini molto più complessi di quelli dei tempi dell’università, ma non ho mai più avuto occasione di osservare negli occhi degli assistiti la stessa gratitudine e soddisfazione di quei tempi.
Oggi mi domando se sarò in grado nei prossimi 20 anni, con l’esperienza maturata finora e con finalmente un po’ più di sicurezza ed ancor maggior convinzione in ciò che faccio di rivivere quelle belle sensazioni dei tempi dell’università dei giardini.
Quando dovesse capitare sarò allora confidente che anche i dottori commercialisti potranno essere considerati a pieno titolo protagonisti di quel cambiamento che ai tempi della mia pratica professionale il nostro Presidente Aldo Milanese non perdeva occasione per inculcarcelo nella testa.