PANE E COMUNITA’

L’immagine di una gallina a presidio di un vecchio forno è stata catturata durante una passeggiata domenicale in una borgata di montagna qualche settimana prima che si diffondesse anche in Italia l’emergenza corona virus. All’epoca mi aveva colpito perché mi evocava l’idea di un fortissimo senso di comunità che, alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni, mi fa piacere condividere.

Nelle borgate di montagna, ma anche nelle frazioni di pianura e in generale in tutti quei piccoli paesi in cui non c’erano abbastanza abitanti per poter dare da vivere ad un fornaio di professione si era soliti avere un forno comune la cui costruzione, manutenzione e gestione era collettiva nel vero senso della parola. Il forno veniva acceso una volta alla settimana, in modo che tutte le famiglie del borgo potessero cuocere il pane necessario per i giorni successivi.

Di settimana in settimana ciascuna famiglia a turno metteva a disposizione le fascine di legna per portarlo in temperatura e si incaricava di accenderlo nel cuore della notte per consentire fin dalle prime luci del giorno la cottura delle enormi forme di pane che le signore trasportavano ordinatamente da casa su lunghe assi di legno. L’impasto di acqua, lievito madre e farine delle più disparate e dalla macinatura decisamente poco raffinata veniva preparato il giorno prima con un notevole impegno muscolare e poi lasciato pazientemente a riposare fino al primo mattino. Oltre alla legna ciascuna famiglia dava il proprio contributo in pane anche alla persona che presidiava con esperienza e mestiere il forno occupandosi materialmente della cottura e liberando così le signore di casa dall’attesa che avrebbe impedito loro di gestire tutte le altre faccende domestiche.

A quei tempi, che comunque non risalgono a secoli fa, il pane fresco, croccante e profumato si poteva apprezzare un solo giorno a settimana ed anzi probabilmente a certe quote o in certe annate meno fertili poteva essere una fortuna poterselo permettere per tutto l’anno. Quando finiva la farina, almeno in montagna, ci si limitava alla polenta, alle patate ed a grandi scorpacciate di latte, uova e formaggio.

A Desert l’ultima domenica di luglio siamo soliti ricordare e celebrare Santa Margherita per festeggiare il cuore dell’estate, il periodo della fienagione e più in generale la stagione del raccolto e dell’abbondanza. Oggi come allora la festa consiste in una semplice messa pomeridiana in cui al posto delle ostie il parroco consacra una grande forma di pane offerta di anno in anno da una delle famiglie storiche della borgata. Il pane che residua dalla celebrazione religiosa viene diviso tra i presenti che se lo sgranocchiano chiaccherando tutti insieme su quell’unico limitato spicchio di piano ricavato di fronte alla chiesa di una montagna decisamente severa.

Il pane oltre ad essere tra i più evocativi simboli di sostentamento, energia, nutrimento quotidiano in queste due immagini di un tempo ormai passato rappresenta in modo forse ancor più forte il senso di condivisione e di impegno di una Famiglia e più in generale di una Comunità.

Oggi forse non tutti hanno idea di cosa significhi e quanta fatica si possa fare per tagliare la legna nel bosco, assemblare e trasportare a casa le fascine, impastare a mano qualche chilo di farina, portare a spalle l’asse con le forme di pane, ripulire il forno dalla cenere del giorno dopo. Non abbiamo più la pazienza di aspettare che la legna asciughi, che la neve si sciolga, ma nemmeno che l’impasto lieviti, che il forno vada in temperatura e che il pane completi la sua cottura.

Oggi viviamo come cittadini e consumatori l’epoca del tutto subito, con poco sforzo e possibilmente gratis.

Le nostre aziende invece vivono un’epoca in cui la complessità per fare qualsiasi attività è cresciuta a dismisura.

Le filere produttive e le catene del valore sono sempre più ampie sia per numero di fornitori e partner, sia per area geografica di riferimento.  Questo ha contribuito a ridurre i costi e migliore la qualità delle produzioni, ma nel contempo ha aumentato il livello di interdipendenza fra soggetti.

La ricchezza delle nostre comunità è aumentata a dismisura se paragonata anche solo a quella dei miei nonni, ma nel contempo siamo tutti decisamente più indebitati ed ho l’impressione che nell’insieme ci si senta un po' più fragili e smarriti in un contesto tanto complesso quanto incerto.

Il benessere delle nostre aziende siano esse locali, globali o glocal dipende necessariamente da quello delle comunità di cui fanno parte e viceversa.

I tempi del corona virus non sembrano compatibili con le dinamiche sociali ed economiche del 2020. Facciamo fatica ad accettare l’idea di limitare i nostri spostamenti, le nostre frequentazioni, le nostre attività… Abbiamo ritenuto la quarantena una tecnica di prevenzione medievale che poteva, forse, avere un senso in epoca di economie chiuse e di pseudo sussistenza come potevano essere quelle della borgata da cui ho tratto l’immagine e spunto per questo racconto.

Infine, un cenno alla gallina che, vedendomi avvicinare per scattare la foto, si è alzata minacciosa a tutela del suo giaciglio nei pressi del forno…

In un contesto dove la stragrande maggioranza delle borgate di montagna risultano abbandonate e spopolate da una vita esageratamente dura e faticosa quella gallina a presidio del forno rappresenta per me un magnifico simbolo di speranza…

Dietro quella gallina non c’è solo un forno c’è un’intera comunità fosse anche solo rappresentata da una singola famiglia.

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