PENSIONI: QUESTIONE DI ARMONIA E PROPORZIONI OLTRE CHE DI NUMERI

In vista della prossima scadenza di Quota100 in queste settimane siamo tornati a sentir parlare più frequentemente del nostro sistema pensionistico e dell’adeguamento delle regole per la sua sostenibilità riaccendendo i toni della discussione su quello che, dico subito, non dovrebbe essere un problema: l’ETA’ a cui andare in pensione.

 

Da ormai oltre 25 anni (riforma Dini della L. 335 dell’ 8/8/1995 entrata in vigore l’1/1/1996) il nostro sistema previdenziale è stato incentrato su un criterio di calcolo contributivo della pensione spettante.

Questo significa che l’assegno pensionistico dovrebbe essere in qualche modo proporzionale

al montante dei contributi versati nel corso della propria vita lavorativa (opportunamente rivalutati in ragione del tempo trascorso dal versamento) e

alla speranza di vita media stimata nell’anno di pensionamento.

 

Prima del 1996 il criterio di calcolo era di tipo retributivo e pertanto la pensione era in qualche modo proporzionale alle retribuzioni maturate negli ultimi anni di lavoro.

Per non ledere i diritti quesiti di coloro che avevano iniziato a lavorare prima del 1996, ma che allora non avevano ancora maturato il diritto alla pensione, è stato previsto un regime transitorio in cui il calcolo della pensione spettante sia di tipo misto.

Finora si maturava il diritto ad andare in pensione alternativamente al raggiungimento di:

una certa età (pensione di vecchiaia) che oggi è fissata in 67 anni per uomini e donne (a condizione comunque che ci siano almeno 20 di lavoro perché se non ci fossero l’età sale a 71 anni) ;

un numero prestabilito di anni di lavoro a cui sono conseguiti anni di contributi versati (pensione contributiva) che oggi sono pari a 42 e 10 mesi (un anno in meno per le donne)

un mix dei due limiti di cui sopra (come per esempio Quota100 in cui si doveva raggiungere 100 sommando gli anni dell’età di pensionamento – 62 anni - e 38 anni di contributi versati e tanti altre opzioni di pensionamento anticipato)

 

limiti di cui sopra vengono definiti il legislatore abbassandoli o elevandoli con valutazioni di carattere politico le cui finalità sono state le più svariate.

E’ certo però che l’obiettivo di tendere alla sostenibilità complessiva del sistema previdenziale è sempre stato solo uno dei tanti obiettivi politici perseguiti nel dettare le regole.

A questo continuo aggiornamento delle regole (specie quando i limiti tendono ad alzarsi!) si è tanto più sensibili quanto più si è vicini al raggiungimento della pensione secondo quanto precedentemente in vigore e su cui i lavoratori avevano, giustamente, maturato le proprie aspettative.

E così quella che ho scoperto essere chiamata la “Silent Generation” (nati tra il 1928 ed il 1945) e la ben più famosa ed ancor più folta generazione dei "Baby boomers" (nati tra il 1946 ed il 1964) negli ultimi anni 30 anni sono state tutt’altro che in silenzio! Queste generazioni si sono fatte ben sentire e, ahinoi, spesso senza voler considerare quello che è venuto e verrà dopo di loro e soprattutto dimenticando che buona parte di quello che siamo oggi è per molti aspetti conseguenza delle loro azioni e dei loro pensieri.

E ancora oggi ho la fondata impressione che le attuali levate di scudi sollevate dai sindacati e l’insoddisfazione per le trattative (appena iniziate) con il Governo siano espressione più che dell’interesse dei lavoratori come categoria (compresi quelli che lo saranno domani) dei lavoratori nell’intorno dei 60 anni e di tanti altri che lavoratori non lo sono più già da diverso tempo, ma che continuano ad essere iscritti alle diverse sigle per poter, tra l'altro, trasmettere il 730 con pochi euro riconosciuti al proprio CAF e recuperare così qualche ulteriore bel credito.

Temo tanto che il confronto (scontro) sociale si stia spostando dalla lotta di classe che ha avuto il suo apice più feroce alla fine degli anni ’70 del secolo scorso ad un conflitto tra generazioni forse ancora non ben evidente.

ETA' EFFETTIVA DI PENSIONAMENTO

Con riferimento alle richiamate insoddisfazioni dei sindacati segnalo ancora che l'età effettiva media di pensionamento in realtà in Italia, grazie a tutta una serie di forme di pensionamento anticipato, è molto più bassa dei limiti sopra solo accennati. Nel 2018 (secondo gli ultimi dati elaborati dalla Fondazione Hume) gli uomini sono andati in pensione mediamente a 63,3 anni e le donne a 61,5 anni (addirittura 5 anni e mezzo prima dei 67 previsti per la pensione di vecchiaia).

RAPPORTO PENSIONATI/LAVORATORI: 686/1.000

Al crescere della speranza di vita (registrata negli ultimi anni ad eccezione dell'inversione di tendenza di quest'ultimo anno caratterizzato dalla Pandemia) ed al diminuire del numero di lavoratori rispetto al numero di soggetti che incassano tutti i mesi la pensione tende a far crescere la quota di spesa pensionistica e assistenziale (per coloro che non raggiungono livelli di reddito dignitosi) a carico dei conti dello Stato. Accedendo recentemente al mio cassetto fiscale mi è stata proposta una bella torta di come erano state destinate le imposte da me versate nel 2020. La fetta più grande, pari ad oltre il 21% dell’IRPEF, è proprio andata ad integrare le pensioni a conferma che i contributi versati da chi oggi è un lavoratore attivo (peraltro elevatissimi) non sono sufficienti.

 

Rendere sostenibile un sistema pensionistico significa anche contenere il prelievo dalla fiscalità generale in modo che la stessa somma possa essere lasciata nelle tasche dei cittadini (riducendo la tassazione) o spesa diversamente o meglio ancora investita.

 

FLESSIBILITA' DELL'ETA' DI PENSIONAMENTO

Come dicevo all’inizio il tema dell’età di pensionamento in un sistema previdenziale di tipo contributivo non dovrebbe costituire un problema perché semplicemente dovrebbe essere lasciata libera specie se nell'assegno non ci sono regali.

Pare che inizi a farsi strada la possibilità di una graduale flessibilità in uscita dal mondo del lavoro, ma il legislatore è giustamente preoccupato di dare troppa libertà ed autonomia di valutazione perché molti correrebbero il rischio di sottostimare quando sono ancora giovani e forti il reddito minimo necessario negli anni della loro vecchiaia quando il bisogno di assistenza e cura aumenteranno.

Il legislatore teme che ciascuno di noi sia un po’ miope (o semplicemente un po’ troppo ottimista o piuttosto furbetto) nell’immaginare il fabbisogno di risorse di cui si potrebbe necessitare in futuro e pertanto cerca di intervenire prima per evitare di dover riconoscere forme di sussidio e assistenza dopo che nuovamente peserebbero sui conti della fiscalità generale.

 

UN LUSSO CHE NON POSSIAMO PIU' PERMETTERCI

Tutti devono però comprendere che non è sostenibile nel medio periodo quella che il Professor Luca Ricolfi definisce come lasocietà signorile di massa”. Quella in cui un numero spropositato di persone – giovani e meno giovani – si possano permettere il lusso di consumare senza lavorare.

 

Da parte mia devo invece ammettere che il tema delle pensioni non si possa ridurre ad un esercizio strettamente numerico, in quanto rappresenta una più articolata e complessa questione politica che deve necessariamente (e gradualmente come dice saggiamente il Presidente Draghi) cercare di trovare il giusto equilibrio tra andamento demografico, flussi migratori, regresso o meglio sviluppo economico di un Paese, aspettativa e qualità di vita, stock di risparmi e di debiti (pubblici e privati) e molto altro ancora …

 

I numeri tornano comunque sempre utili per misurare e comprendere le forme, le geometrie e la resistenza che si vogliono dare al nostro futuro e l’armonia al nostro presente.

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