Ogni tanto capita di vedere al termine di qualche gara di motor sport l’inquadratura di pneumatici completamente consumati che mettono in evidenza le loro tele strutturali di supporto e sostegno della gomma stessa.
In quelle occasioni il commento dei cronisti sovente elogia le doti di guida dei piloti che sono riusciti ad arrivare al traguardo percorrendo gli ultimi giri della gara in condizioni estreme, a seguire evidenzia la difficoltà di un circuito molto articolato e/o di una competizione particolarmente vivace.
COMMOZIONE DA VACANZE
Quest’anno potremmo dire che anche lo Studio Fabbro Martini è arrivato sulle tele al traguardo della campagna bilanci e dichiarazioni del 2021.
Venerdì sera dopo aver chiuso alle 8 passate la porta dell’ufficio, sono salito sul mio ME per tornare a casa con le lacrime agli occhi.
E’ stato un pianto liberatorio, forse simile a quello degli atleti al termine delle loro gare più dure o importanti.
In alcuni casi tagliare il traguardo può commuovere.
E’ gioia intrisa di sudore che in un attimo fa emergere tutta la fatica provata durante la gara e gli enormi sacrifici sofferti durante gli allenamenti che l’hanno preceduta.
E’ orgoglio di avercela fatta, di essere riusciti ad arrivare in fondo.
E’ stress che viene fisicamente espulso e di cui oggi, a mente più fresca, desidero scrivere non solo come ulteriore valvola di sfogo, ma soprattutto per non dimenticare e per cercare di capire cosa non ha funzionato e come provare a correggere il tiro per evitare di ridursi in queste condizioni in futuro.
E’ infatti un pianto che vorrei evitare di dover nuovamente provare.
A distanza di una settimana esatta da quel venerdì, e quindi al termine della prima settimana di vacanza è successo un diverso episodio, sebbene per fortuna senza lacrime, in cui potremmo nuovamente dire di essere arrivati sulle tele. Questo mi fornisce alcuni validi spunti per approfondire il tema sfruttando qualche analogia.
LA LUNGA GITA A CACCIA DI STELLE
Siamo in montagna, finalmente qui si respira, anche se durante il giorno quest’anno fa decisamente caldo anche a 1.700 metri. L’aridità di prati e boschi per la prolungata assenza di precipitazioni è invece la medesima di quella della pianura e di gran parte del nord Italia.
Con una coppia di amici organizziamo una gita con i figli memori della splendida esperienza trascorsa insieme un paio d’anni prima dormendo al bivacco Corradini in cima alla Dormillouse.
Apriamo con delicatezza la vecchia cartina di mio padre alla ricerca di un altro bivacco in alta Val Susa capace di ospitare 4 adulti, 3 ragazzi e Joy (che Federica e gli amici dicono essere diventata la mia nuova fidanzata nonostante abbia 4 zampe!) o in alternativa un rifugio che abbia ancora posto per una notte di stelle cadenti nei giorni ormai prossimi al fine settimana di ferragosto. Valutiamo 4 percorsi alternativi, tutti ad anello e sulla carta simili per lunghezza, dislivello ed impegno richiesto.
Escludiamo dapprima quello più esposto che percorre tutto il filo di cresta di fronte a casa, dalla Grand Hoche alla Punta Charrà, poi quello dietro casa attorno al Sommelier per una lunghezza ritenuta eccessiva ed infine rinunciamo a quello tra Tabor e colle del Frejus visto che il rifugio francese ci ha confermato di essere già in overbooking.
Quello che rimane si snoda sulle pendici sud di Niblè e Denti D’Ambin: l’unico che non ho mai percorso, ma che presenta un bel bivacco di recente costruzione (ovviamente non indicato sulla cartina di mio padre) ed in caso di emergenza il rifugio Vaccarone (dedicato ad un avvocato che è stato anche uno dei soci fondatori del CAI) ed una seconda via di fuga a poco meno di un paio d’ore dal bivacco stesso. Ci organizziamo con sacchi a pelo e rifornimenti per 3 pasti e una colazione e ci diamo appuntamento alle 10 del mattino successivo. Ci carichiamo sulle spalle gli zaini stracarichi ed iniziamo finalmente a camminare all’alba delle 11,30. Mi avevano insegnato che per andare in montagna sarebbe stato preferibile partire molto prima, ma siamo in vacanza e mi sento di dover accomodare le esigenze organizzative ed i desideri delle nostre signore.
La salita parte subito decisa, ma grazie al bosco di larici che ombreggia il sentiero ed agli scorci di panorama che ci godiamo insieme a qualche breve pausa, ci sembra meno impegnativa di quello che in realtà è, complici anche la freschezza dei nostri muscoli e l’entusiasmo per la nuova avventura.
Nel bosco tutti vengono dotati di rami secchi che fungono nell’immediato da bastoni di sostegno per il cammino, ma anche come scorta di legna per il falò che Dante non vede l’ora di poter accendere appena farà notte. Il suo entusiasmo, tipico di un ragazzino non più bambino ma non ancora adolescente, lo porta a caricarsi oltremodo sull’esterno dello zaino addirittura una vera e propria fascina di rami che, sebbene opportunamente ancorata con delle cinghie, continua ad alimentare un noiosissimo dondolio ad ogni suo passo.
Al termine della prima rampa boschiva si apre un’ampia radura da cui il sentiero prosegue in diagonale verso il Niblè con un’interminabile serpentina che solca un maestoso pendio coperto da una fitta vegetazione di bassissimi arbusti di rododendri, ginepri e mirtilli. Quando raggiungiamo finalmente il colle di Clopaca sono le 3 del pomeriggio e ci rendiamo conto che le lamentele di Maya per la fame erano più che giustificate nonostante qualche pezzo di frutta secca sgranocchiato lungo la salita.
Sul colle incontriamo le prime persone della giornata che arrivano dal rifugio e che ci dicono distare poco più di un’altra ora di cammino: arriveremo che sono le 17,30 passate. Il gestore nel vederci come prima cosa teme di aver sbagliato i conti delle prenotazioni, ma gli confermiamo che ci fermavamo solo per la merenda per poi proseguire verso il bivacco del col Clapier. Ci rifocilliamo con un'ottima torta alle nocciole, succo di mela e delle ottime acque sciroppate homemade e dopo una gioiosa foto di rito ci rimettiamo in marcia. Delle due vie che portano al bivacco, vista l’ora, scegliamo quella indicata come più breve di ben 5 minuti, ma anche alpinistica. La difficoltà alpinistica consiste nel scendere una balza rocciosa di un centinaio di metri per alti gradoni naturalmente intagliati nella montagna. Sono ancorate alla roccia alcune corde fisse a cui tutti ci aggrappiamo tranne Joy che dovrò prendere in braccio un paio di volte per farle superare i salti più alti ed esposti al vuoto. La fascina sulle spalle di Dante, oltre a dondolare e sbilanciare, ora si incastra nella roccia dimostrandosi ancora più fastidiosa e pericolosa, ma lui non intende minimamente abbandonarla lì. E’ più infastidito dalla borraccia che in paio di occasioni gli è saltata fuori dalla tasca esterna e per un doppio miracolo entrambe le volte si è incastrata tra le rocce senza rotolare fino alla base della parete.
Dopo il salto roccioso per arrivare al bivacco bisogna proseguire in discesa sul fianco di un bel torrente alimentato da una cascata che salta dai Denti d’Ambin per poi inerpicarsi su su un’ultima breve ma ripida salita taglia gambe. Al bivacco, al nostro arrivo, ci sono già ben 19 persone e un cane che stanno già cenando (sono le 8). Per fortuna 6 ragazzi francesi ci informano che scenderanno in compagnia del loro cane al lago delle Savine per dormire in tenda ed una giovane alpinista solitaria in tenuta molto leggera ed atletica che, vedendo l’affollamento del bivacco, decide di tornare al rifugio nonostante il sole sia già tramontato dicendoci che per lei un posto lo avrebbero senz’altro trovato. Ci ha dato l'impressione di essere piuttosto confidente con quei luoghi.
Noi ovviamente decidiamo di restare dopo aver concordato con gli altri ospiti del bivacco arrivati prima di noi di poter far dormire i 3 ragazzi e una mamma sopra i tavoli dopo che tutti avranno terminato di cenare.
Ci cambiamo la maglietta bagnata ed indossiamo tutto quello che abbiamo portato (pile, piumino invernale e cappello di lana) e cerchiamo, senza trovarlo, un angolo nei dintorni del bivacco non troppo in pendenza e soprattutto un po’ protetto dal forte vento che si è alzato. Fa presto buio e dopo tutto lo sforzo compiuto nel portare la legna prepariamo con delle pietre una nicchia al riparo di un grosso masso per provare ad accendere un piccolo falò (qui non c’è pericolo di incendi nonostante il vento perché non c’è vegetazione essendo su un crinale roccioso ad oltre 2500 metri di quota). La legna brucia bene, ma c’è troppo vento e fa comunque troppo freddo per potersi godere il crepitio del fuoco raccontandosi storie e stupidaggini e quindi presto chi può torna dentro il bivacco mentre noi ci infiliamo dentro i sacchi a pelo illuminati quasi a giorno da una magnifica luna piena. Quella notte è stata particolarmente lunga e nonostante per parecchio tempo l’abbia trascorsa con gli occhi aperti verso il cielo sono riuscito a vedere una sola magnifica stella cadente. Come sempre sono rimasto sorpreso ed incantato e non sono riuscito ad esprimere desideri, ma solo a sorridere salutando mia mamma (la prima è dedicata a lei).
Verso le 3 del mattino anche Joy, nonostante si fosse raggomitolata contro le mie gambe ha iniziato a tremare e così l’ho coperta con la parte alta del sacco a pelo abbracciandola ed incastrando una mano priva di guanti sotto la sua pancia per ripararla dal vento…in quell’occasione, se mai qualcuno ci avesse visto avrebbe legittimamente potuto pensare che fossimo due fidanzatini!
Quando finalmente la notte ha lasciato il posto ad un nuovo giorno indosso gli scarponi per andare a fare un giro e riattivare la circolazione. Dietro al colle l’intensità del vento cala e risalendo la temperatura delle mie ossa mi siedo tra cespugli di mirtilli. I frutti sono così piccoli che per sentirne il sapore devi metterne in bocca 4 o 5 alla volta, ma non ho fretta e mi concedo una vera e propria scorpacciata che termina al passaggio di un branco di camosci. Sono una dozzina che Joy aveva già notato arrivare da lontano, ma che si era limitata ad osservare con particolare attenzione rimanendo immobile e senza far alcun rumore. La imito e quei selvatici scalatori a 4 zampe, pur avendoci annusato, non rinunciano ad andare a bere ad una sorgente poco sotto a dove siamo accovacciati e ci passano uno dopo l’altro a pochi metri di distanza osservandoci, soffiandoci e rimanendo perennemente sull’attenti. Dopo aver fatto una bella scorpacciata anche di camosci mi alzo per tornare al bivacco ed involontariamente li metto in fuga sebbene questa duri solo pochi balzi in discesa perché appena notano che ci dirigiamo dalla parte opposta alla loro riprendono il cammino sulla via originaria.
Al bivacco gli ospiti si erano svegliati e la prima famiglia di francesi si ricarica gli zaini in spalla alle 7 in punto. Noi invece tra la colazione ed il riordino dei materiali non partiremo prima delle 8,30…il rientro alle auto prevede una strada diversa rispetto a quella dell’andata: più lunga, ma con nuovi panorami e teoricamente meno impegnativa perché da percorrere con minori carichi sulla schiena ed in discesa. Inizia però risalendo la balza rocciosa in direzione del rifugio per la via meno alpinistica ma comunque decisamente ripida ed esposta, raggiunge delle vecchie caserme di confine a 2700 metri e poi scende con una lunghissima diagonale l’enorme e selvaggio vallone erboso del Tiraculo (a rimarcarne la ripidezza), risale ai 4 Denti di Chiomonte e dopo aver toccato il "pertus" di Colombano Romean (un signore che rimase con la schiena piegata per diversi anni della sua vita a scavare il tunnel con piccone, martello e scalpello per garantire acqua in abbondanza alla comunità di Chiomonte che, narra la leggenda, uccise a lavoro terminato per evitare di pagarlo) chiude l’anello attraverso un sentiero balcone (nel vero senso della parola) a picco sul tratto di Valle compreso tra Chiomonte ed Exilles.
Arriveremo alle auto dopo oltre 8 ore di cammino, tutti piuttosto provati.
La tecnologia che portavamo al polso ci dice che abbiamo percorso circa 42 km salendo e poi scendendo complessivamente per oltre 1700 metri di dislivello.
Siamo contenti ma probabilmente a questo giro abbiamo alzato un po’ troppo l'asticella rispetto alla nostra preparazione. Federica sulla via del ritorno si è sentita poco bene (cuore in gola ed alte pulsazioni anche stando coricata per interi quarti d'ora) e Nika ha consumato l’intera scatola di cerotti per cercare di contrastare le vesciche che le hanno martoriato i piedi. Io e Francesco invece abbiamo avuto male alle spalle per i due giorni successivi per l’eccessivo carico trasportato. I ragazzi e Maya (nonostante questa abbia brontolato un po' troppo) sono quelli che invece hanno resistito meglio alle fatiche. Per tutti comunque è stato sufficiente concedersi un bel sonno ristoratore per appianare qualche malumore, ritrovare l'energia e tornare a sognare una nuova piccola avventura.
10 PROMEMORIA PER NON ARRIVARE SULLE TELE IN FUTURO E SPUNTI DI RIFLESSIONE PER GODERSI MAGGIORMENTE LA GITA.
- Non esiste nessuna grande impresa, bella avventura o semplice gita senza l’idea di compierla, la voglia di mettersi in gioco, un po’ di programmazione (a partire dalla necessità di fissare una banalissima data per la partenza), una buona dose di sacrifici e qualche talento.
- Per contenere il rischio di incappare in reazioni scomposte e potenzialmente pericolose durante il percorso sarebbe preferibile conoscere e testare prima i compagni di avventura.
- Ricordarsi di calibrare la gita sulle capacità del meno prestante (e a questo giro abbiamo scoperto non essere più la piccola Maya) non solo per fare in modo che non scoppi strada facendo ma per consentire anche a lui di divertirsi e godersi il panorama.
- Darsi dei traguardi intermedi aiuta a rendere sopportabile più a livello mentale che fisico lo sforzo e l’impegno richiesto.
- E’ opportuno scegliere attentamente le cose da portare con sé nello zaino cercando il giusto compromesso tra peso da caricarsi sulle spalle e conforto/protezione durante il tragitto.
- Distribuire con lungimiranza i carichi del gruppo e ripartirli in funzione dell’allenamento e del talento di ciascuno. Lo zaino dei più giovani dovrà essere necessariamente più leggero, nonostante spesso questi risultino più forti ed allenati dei propri genitori che però hanno dalla loro maggiore esperienza e resistenza.
- Bisogna avere il coraggio, qualora si manifestasse la necessità durante il percorso, di liberarsi di qualche peso superfluo, di fermarsi per sistemare meglio qualche carico ingombrante, ma ritenuto necessario (si pensi ai bastoni per il falò di Dante!) e di dire qualche NO in più alle richieste che mano a mano vengono avanzate.
- Giocare d’anticipo che non significa solo banalmente partire prima, ma anche a bere un po’ più di acqua del normale il giorno prima della partenza, togliere la giacca a vento nonostante il freddo prima di iniziare la salita che farà sudare, concedersi una pausa ristoratrice prima che siano completamente esaurite le energie…
- Circondarsi di un buon numero di giovani (ma senza esagerare!) perché dopo aver dato loro il “la” il loro entusiasmo diverrà contagioso e la loro curiosità sarà stimolante e costruttiva anche per i più anziani nonostante spesso per questi anche solo qualche parola data in risposta o spiegazione possa sottrarre fiato prezioso e costi un po’ più di fatica.
- Portare con sé sempre almeno una carta Jolly in testa, una nelle gambe ed una nello zaino (una via di fuga, un po’ di energia per accelerare il passo o per farsi carico dello zaino di chi dovesse scoppiare o una semplice barretta di cioccolato!)
Non so se anche per una gara di MotoGP possano valere questi piccoli insegnamenti maturati durante la nostra gita a caccia di stelle, ma di sicuro cercherò di metterli in pratica sul lavoro non solo per evitare di dovermi ritrovare nuovamente sulle tele, ma soprattutto per cercare di contenere il rischio di cadere nonostante la "gara" (gita) ci imponga di continuare a viaggiare a manetta (o quasi).