QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA. UN ORTO, UN MUSEO, MILANO, IL GRANDE TORINO

Davanti all’ingresso dell’università sabato ci siamo trattenuti ancora qualche momento a discutere e confrontarci anche fuori dalle aule. L’ospite che ci ha tenuto la lezione è in gamba e la mia curiosità per il mondo cinese e la loro cultura è insaziabile, ma soprattutto per una volta non ho fretta. Per tornare a Torino risparmiando qualche eurino di biglietto ho infatti preferito il treno delle 5,40 regalandomi così la bellezza di ben 4 ore da dover riempire senza programmi preventivi. Ampi tratti di azzurro si sono fatti spazio tra i nuvoloni ancora minacciosi e l’aria è decisamente frizzantina. Io punto sul fatto che non pioverà a breve e cerco un posto dove trascorrere qualche ulteriore momento gradevole, ma rigorosamente all’aria aperta.

Mi ritrovo così grazie all’aiuto di Google, un tratto in metropolitana ed uno sul mio monopattino in zona Brera all’orto botanico di Milano. Scopro così un meraviglioso angolo verde, tranquillo e profumato nel cuore di una città che nell’immaginario collettivo risulta piuttosto grigia, frenetica e fumosa. Passeggiando tra i vialetti paralleli delle aiuole gioco ad indovinare i nomi di erbe, piante e fiori che poi verifico sui cartellini, accarezzo le foglie ed annuso l’odore che mi lasciano sulle mani, mi chino per osservare da vicino, faccio qualche foto di specie rare o che semplicemente non avevo mai visto prima, mi soffermo, chiudendo gli occhi ed assaporando il respiro, su parecchi fiori di limone e di rose antiche. Ad un certo punto del mio lento girovagare estasiato noto che entra in scena tra gli ospiti del giardino anche uno dei custodi, inteso come coloro che si prendono cura, di così tanta meraviglia. Da lontano per un po’ osservo anche lui, i suoi attrezzi, i suoi movimenti lenti e meticolosi con cui sta costruendo un telaio di canne di bambù per poi sistemare una rete a maglia larga sopra un gruppo di digitalis in piena esplosione vegetativa che servirà a tenerli ordinati quando avranno raggiunto la loro massima altezza. Quando arrivo nei pressi della sua aiuola mi viene spontaneo ringraziarlo e complimentarmi con lui per tutta la bellezza che riusciva a donare come a me a tante altri visitatori. Il giardiniere piuttosto bruscamente mi risponde esclusivamente: “E’ QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA”. Colpito da una risposta del genere provo garbatamente ad indagarne le ragioni, ma l’interlocutore è di poche parole e capisco solo che probabilmente anche lui ogni tanto avrebbe piacere di avere un po’ di tempo libero il sabato pomeriggio da dedicare a sé stesso o ad apprezzare altre cose belle.

Uscito dall’orto mi ritrovo per caso a camminare tra imponenti corridoi e cortili che immagino essere sede di una qualche Università leggendo qualche cartellino sulle porte di aule e dipartimenti. Salito su uno scalone e mi ritrovo davanti all’ingresso della Pinacoteca del famoso, ma per me almeno fino a quel momento del tutto sconosciuto palazzo Brera. Sono tentato di entrare nel museo ma il mio stomaco mi dirige più semplicemente verso la sua caffetteria. Domando se, nonostante l’ora sia ancora possibile mangiare qualcosa e mi fanno accomodare con fare gentile ed ospitale. Nonostante la bellezza e la maestosità anche degli interni della caffetteria dopo aver ordinato chiedo di potermi sedere ad un qualche tavolino all’aria aperta sotto il porticato del palazzo. Per un bel po’ la cucina si dimentica di me, ma io non ho fretta e mi ritrovo nuovamente ad osservare. Questa volta però la mia curiosità si sofferma sulle Persone, gli ospiti della caffetteria, i visitatori che entrano ed escono dal museo, le cameriere e mi colpisce il fatto che siano tutti rigorosamente stranieri con una marcata presenza di cinesi decisamente giovani. Associo a questa percezione, sicuramente parziale, empirica e casuale, la notizia che avevo sentito qualche giorno prima alla radio a seguito delle solite polemiche circa la chiusura di alcuni dei nostri musei il primo maggio che evidenziava come nonostante siano in crescita le visite ai nostri musei ed ai siti archeologici gli italiani che ne visitano almeno uno all’anno sono appena il 30%.

Completato il mio piacevolissimo pranzo, spagnoleggiante per gli orari, mi avvio verso la stazione centrale, ma visto che l’orologio mi ricorda che sono in grande anticipo per il treno delle 17,40 mi concedo ampie ed abbondanti deviazioni lungo il percorso consigliato. Il navigatore non si stanca mai di correggere la direzione del mio monopattino, ma ad un certo punto sono io a stancarmi dei suoi consigli efficienti e ottimizzanti tanto da doverlo spegnere quando arrivo nei pressi dei grattaceli di porta Garibaldi. Questa volta sono l’architettura e l’urbanistica a riempire i miei occhi ed a stregare la mia curiosità. Nonostante sia passato già diverse volte in questa nuova zona di Milano, non mi era mai capitato di farlo in un luminoso sabato pomeriggio di inizio di maggio. Vetro, legno, acciaio, cemento e qualche imponente gru rossa si stagliano contro un cielo intensamente blu, ma ancora carico di nuvoloni, ma in un contesto di tanto verde sia orizzontale che verticale ed ampi spazi pedonali frequentati da bambini che giocano e genitori che li osservano, giovani che si divertono ed anziani che passeggiano con il naso all’in su. Diversamente dalla zona di Brera ed al suo magnifico orto botanico qui gli spazi sono aperti, gli edifici enormi, ma ben distanziati tra loro tanto da riuscire a proiettare lo sguardo anche in lontananza. Forse questa zona rappresenta la moderna concezione di quelle metropoli cittadine che si preparano ad accogliere sempre più popolazione.

Tornato a Torino, poso il monopattino in ufficio e prendo il motorino per dirigermi verso casa dopo due giorni veramente ricchi di esperienzie. Quando arrivo a Sassi, vedo vigili urbani e polizia che regolano il traffico e bloccano l’accesso alla strada che sale verso Superga. E’ pieno di maglie e bandiere granata e subito realizzo che è il giorno del 70° anniversario dalla scomparsa del Grande Torino. Da residente in zona chiedo e mi viene concesso il permesso di transitare lungo la strada. Sarà che sono anche io un tifoso del Toro e quindi il mio punto di vista potrebbe nuovamente essere molto particolare, ma percorrendo quei circa 3 chilometri di curve tra boschi cosparsi di ville e dimore storiche mi commuovo. L’emozione non è tanto per quello che ha rappresentato quella squadra entrata nella leggenda del calcio, ma per le centinaia e centinaia di persone di tutti i tipi, sesso ed età, che scendono a piedi lungo la strada come una sorta di fiumana di umanità  coesa illuminata dall’ultimo sole di quella giornata intensa e partecipata.

Sono convinto che, a prescindere dai punti di vista, ed a dispetto di quel che si sente dire quotidianamente, esista tantissima bellezza in Italia.

Se ogni giorno riuscissimo a dedicarci alcuni istanti di tempo ed un angolino di spazio nella nostra testa per riscoprirla probabilmente potremmo tutti vivere oggettivamente meglio.

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