Sono rimasto molto sorpreso quando, domenica scorsa, giocando con Maya mi è capitato tra le mani un “Joker” rovistando nel suo sacco dei Lego alla ricerca di pezzi per costruire qualcosa di bello in compagnia.
Ho chiesto ad una bimba di non ancora 6 anni cosa ci facesse quel personaggio nel suo sacco e lei molto candidamente mi ha risposto che era il pagliaccio che vendeva lo zucchero filato.
Ha cercato i pezzi per costruirgli e mettergli in mano quella nuvola di dolce leggerezza.
Ho sorriso, l’ho ringraziata e, dopo aver messo il Joker con i piedi per terra, ho voluto fermare quel momento fotografandolo di spalle con difronte a sé ancora tanta strada da percorrere su un prato verde brillante che, combinazione vuole, fosse anche il colore della sua parrucca…il gesto inconsapevole di Maya mi aveva spinto a ridare nuova speranza a quel personaggio deviato, poi però l’ho riguardato in faccia e non ho resistito a scattare anche l’immagine che accompagna queste riflessioni in epoca di corona virus.
La riflessione è stata anche alimentata dalla foto di una lettera che avevo scritto nel 1994 e che l’altro giorno un mio carissimo amico, all’epoca compagno di scuola, ha riesumato facendo ordine tra scatoloni ed armadi e dal discorso del nostro Presidente del Consiglio tenuto domenica sera in merito alla cosiddetta fase2.
Ho avuto l’impressione che in oltre un quarto di secolo non fosse cambiato praticamente nulla. E dire che mi sono impegnato con il massimo delle mie capacità. Ho espresso questo senso di sconforto al mio grande amico e lui con la stessa purezza di quando filosofeggiavamo a tempi della scuola mi ha ricordato che “conta più il viaggio che la destinazione”…
Ho riscoperto con stupore quanto il mio pensiero, il mio agire di tutti questi anni e la mia visione del futuro siano stati profondamente condizionati da quegli ultimi anni di liceo, di sport agonistico, di acceso confronto, di adolescenza, di contestazione verso un mondo che sebbene trovassi già bellissimo, fremevo dal desiderio di contribuire per renderlo ancora più bello, equo e meritocratico.
In quella lettera scritta il 4 dicembre 1994 al termine di un’intera settimana di “autogestione” ringraziavamo, in qualità di rappresentanti degli studenti, l’intero corpo docente del nostro istituto scolastico per la pazienza, comprensione e partecipazione dimostrata. Erano state giornate molto intense in cui per la prima volta avevo vissuto concretamente l’esperienza di provare a coordinare le attività di centinaia di ragazzi con l’intento di fare in modo che il tempo sottratto al programma di studi istituzionale non fosse sprecato, ma potesse contribuire ad accrescere ulteriormente il nostro spirito critico ed il nostro senso di responsabilità.
Gli insegnanti erano sempre stati presenti, ma in quella settimana non ci avevano dato istruzioni, si erano limitati ad osservarci in silenzio, a giudicarci senza darci alcun voto sul registro, ad assecondare e stimolare il nostro pensiero ed a sondare le nostre re-azioni.
In quella scuola che era diventata l’intero nonché unico nostro mondo avevamo vissuto una gran bella esperienza di cui non ricordo aver sentito la fatica sebbene credo di aver dormito pochissime ore a notte.
Con questo ricordo di esperienza positiva portiamo oggi avanti nuove idee, altri problemi e rincorriamo nuove mete sempre per fare di questa scuola un luogo attivo e propositivo nella società come centro di cultura critica e di semplice amicizia.
Terminava così la lettera indirizzata al medesimo corpo docente che, a distanza di pochi mesi, probabilmente anche in virtù di quanto dimostrato in quella settimana di autogestione aveva addirittura accettato di essere giudicato da una prima rudimentale forma di valutazione che ci auguravamo potesse essere utile non solo ai professori, ma anche alla direzione didattica per avere qualche elemento in più almeno per provare a premiare i più meritevoli…
Il Candide di Voltaire ci aveva insegnato come il nostro mondo per quanto caotico, frenetico, incontrollabile da un uomo solo potesse essere più semplicemente riconducibile a quello della nostra provincia, del nostro paese, della nostra casa (un castello dotato “anche” di porte e finestre) e che partendo da un semplice angolo di giardino si sarebbe potuto vivere nel migliore dei mondi possibili.
Caro Presidente nell’ascoltare il suo discorso l’altra sera per un attimo ho pensato di appartenere anch’io al gruppo degli arrabbiati, ma non appena ha chiesto che ognuno facesse del suo meglio mi sono nuovamente messo sull’attenti realizzando che la rabbia non avrebbe portato da nessuna parte e che di sicuro quello non sarebbe stato il meglio che avrei potuto esprimere ed ancora una volta ho fatto passare una notte prima di mettermi a scrivere
Presidente in mezzo alle mille altre preoccupazioni che si trova a dover gestire, provi ad immaginare anche come farci trovare una nuova Cunegonda di cui innamorarci o un nuovo orto di cui prenderci cura…se ci riuscirà la rabbia del Joker che vive più o meno in silenzio dentro molti di noi potrà trasformarsi in pura energia creativa.