RITMO E TEMPI GIUSTI

Anche quest’anno siamo riusciti a conquistarci qualche giorno di riposo.

Me ne sono serviti alcuni prima di ritrovare stimoli ed energie per tornare a scrivere.

Mi sono preso i restanti giorni di vacanza per concludere, con comodo, queste riflessioni.

 

PRODUZIONE IN LIBERTA’

Ho sempre alimentato questo “diario” di Studio soprattutto per quanto riguarda le considerazioni più profonde e personali sull’onda della semplice ispirazione del momento e, a discapito di tutti i suggerimenti dei produttori di contenuti di professione e delle regole base di marketing e comunicazione, senza alcun piano editoriale e senza precisi obiettivi circa i fruitori da raggiungere, i SEO da perseguire, i risultati da realizzare.  Nonostante (o forse grazie) a tutta questa libertà per oltre 4 anni sono riuscito mediamente ogni 10 giorni a “produrre qualcosa” che mi ha aiutato a comprendere meglio quanto accadeva attorno a me, a denunciare quello che non mi piace e a raccontare qualche aspetto del mondo che vorrei e spero, almeno qualche volta, di essere riuscito a trasmettere qualche originale chiave di lettura o alcuni semplici spunti di riflessione.

Negli ultimi mesi però qualcosa si è inceppato.

 

PAPA’ e JOY

Papà è stato il mio più assiduo ed attento lettore fin dai tempi delle elementari. La prima lettura che ricordo di avergli sottoposto è stato un tema da svolgere come compito delle vacanze estive con cui ci si chiedeva di commentare una canzone a piacere. Avevo scelto “L’anno che verrà” di Lucio Dalla.

In questi ultimi anni è stato l’unico a cui inviavo in anteprima gli articoli più critici e piccanti ed a cui chiedevo una sorta di autorizzazione alla pubblicazione ed alla successiva eventuale divulgazione tramite Linkedin. Qualche volta mi ha invitato a smussare alcuni spigoli, raramente criticato, spesso apprezzato.  Il suo parere di professionista della comunicazione, di normale cittadino, di semplice contribuente e soprattutto di padre, severo ma giusto, in questi anni di scrittura è stato per me molto prezioso.

Il suo venir meno ha sicuramente tolto qualche stimolo al mio desiderio di raccontare e raccontarmi. Un genitore conosce bene il carattere e il temperamento dei propri figli, ma non sempre riesce a comprendere, a volte proprio in conseguenza del divario generazionale, le ragioni della direzione che stanno seguendo, l’impegno che ci mettono e la fatica che fanno nel perseguirla.

 

La seconda ragione della mia minor “produzione letteraria” si chiama JOY! Da quando la nostra vivace cucciola di Golden è entrata a far parte della famiglia si è presa prepotentemente la fetta del mio tempo compresa tra le 5,30 e le 7 del mattino in cui prima, rimanendo comodamente sdraiato a letto, riuscivo a concentrare la maggior parte dei miei “lavori”.

Avevamo scelto il suo nome nella convinzione che avrebbe portato in casa, dopo un anno molto difficile, una nuova ventata di gioia ed allegria e così è stato. Avevo però un po’ sottovalutato tutte le attenzioni che richiedono questi splendidi compagni di gioco e maestri di vita!

 

A TEMPO, IN TEMPO

A fine aprile insieme a Maya e ad un altro agricoltore della domenica di nome Francesco abbiamo messo a dimora altri 1.000 piantini di lavanda con l’intento di ridare vita ad un secondo vecchio campo abbandonato dell’alta Val di Susa. Ho cambiato versante rispetto all’esperimento dell’anno precedente, passando dal sud est di Desertes al sud ovest di Le Gleise ma la quota è rimasta quella limite dei circa 1.600 metri.  Lassù a maggio ha fatto ancora molto freddo e qualche gelata notturna ha condizionato lo sviluppo dei nuovi minuscoli “lavandini” già stressati dal cambio di ambiente, ma il tempo era teoricamente quello giusto. Visto che faceva freddo ho pensato che anche la crescita dell’erba fosse stata rallentata e così sono salito al campo 1 di Desertes solo ai primi di giugno. Con mia grande sorpresa ho trovato il campo in piena fioritura ma i lavandini del 2020 erano completamente scomparsi in quell’erba alta oltre mezzo metro. Non avevo considerato che la lavanda avrebbe impiegato molto più tempo rispetto alle altre erbe a risvegliarsi dal letargo invernale e che il suo sviluppo sarebbe stato in ogni caso molto meno rigoglioso.

In buona sostanza avevo completamente sbagliato il tempo dell’intervento del primo, il più importante, diserbo della stagione.

Il successo di un’impresa, un po’ come per la vita in generale, dipende in buona parte dall’essere in grado di cogliere una serie di tempi giusti.

E’ un po’ come ballare, se senti la musica e segui il ritmo, il movimento è armonioso e piacevole, in caso contrario risulta sgraziato e goffo.

Il fornaio deve conoscere il tempo (e la temperatura) di cottura del suo pane in funzione delle farine utilizzate, dell’impasto, della dimensione, della forma e del risultato che vuole ottenere. Un minuto in più o in meno di cottura potrebbe vanificare tutto il lavoro fatto in precedenza. Non mi soffermo nel raccontare tutte le scadenze (e di certo non solo quelle fiscali) a cui deve stare attento un commercialista per non appesantire eccessivamente questo che nelle intenzioni voleva essere un articoletto estivo...

In ogni attività esperienza, professionalità ed una buona dose di impegno consentono di non bruciare e non bruciarsi.

Ci sono però degli altri tempi nella vita di un’impresa che l’esperienza e la professionalità potrebbero non essere sufficienti per riuscire a coglierli.

Si pensi per esempio a tutto l’iter di ricerca, studio e prototipazione di un nuovo prodotto (o di un servizio innovativo) ed al suo lancio sul mercato. Un continuo processo di innovazione ed un corretto time to market costituiscono un unico fattore di successo.

Le startup si trovano spesso in una condizione ancor più complicata in cui il fattore tempo è determinante non tanto nei confronti della concorrenza, ma proprio nei confronti della potenziale platea di consumatori a partire dai cosiddetti early adopters. Nei cosiddetti “oceani blu” (dalle teorie di Chan Kim e Renée Mauborgne) si cerca proprio di mettersi nella condizione di dover creare ex novo il mercato, la cultura e la sensibilità di clienti e consumatori a bisogni che fino a quel momento non esistevano o venivano soddisfatti in modi significativamente diversi. Solo pochi hanno la sensibilità e la capacità di saper cogliere questo genere di momenti e gestirli con successo.

 

TEMPI DI LAVORAZIONE

Ma torniamo ora alle povere piantine di lavanda sepolte dalle vigorose e tenaci erbe di montagna ed al lavoro necessario per salvare il salvabile.

Dopo aver individuato le piante in testa ad ogni fila ho tagliato l’erba negli interfila con l’aiuto del forzuto motocoltivatore. Operazione teoricamente semplice e veloce se non fosse per la pendenza del terreno che rende complicato anche solo stare in piedi e faticosissimo contrastare la forza di gravità che attrae continuamente il fido macchinario e per quanto fosse folto e fitto lo strato delle erbe in piena fioritura. A seguire ho dovuto dedicare ben 4 domeniche (piene) per cercare di ripulire a mano e con l’aiuto di una semplice zappa ogni singolo piantino di quei 700 messi a dimora un anno prima e di cui purtroppo ho dovuto constatare che un buon 30% non era riuscito a sopravvivere all’inverno.

L’essere arrivato tardi ha reso il lavoro enormemente più complicato e faticoso e sono convinto che la mia schiena, insieme alla mia mogliettina, me lo rinfacceranno ancora per molto tempo.

E’ però certo che quel lavoro, stante la superficie, anche in condizioni ottimali avrebbe richiesto almeno un paio di giornate.  Ogni attività richiede il suo tempo.

Come dicevamo all’inizio richiede tempo produrre un contenuto come questo, ma anche per leggerlo (preferibilmente tutto) è richiesto un tempo che i sistemi di editing preannunciano al lettore in minuti tenendo conto del numero di battute. Indicazione che personalmente mi ha sempre infastidito perché sforo regolarmente visto che spesso nel leggere mi piace soffermarmi sulle parole, gustarmele e dedicare qualche minuto in più per comprenderne il senso complessivo, trarre qualche spunto per ampliare la riflessione o immaginare finali, scenari o soluzioni differenti.

Più in generale i tempi di esecuzione possono quindi cambiare in ragione di molteplici fattori di cui alcuni sono necessariamente soggettivi.  Contano senz’altro le condizioni oggettive di partenza e la quantità/dimensione dell’attività materiale da eseguire, l’esperienza e capacità del lavoratore (sempre migliorabili oltre che con la formazione, con qualcosa simile all’allenamento), ma contano moltissimo anche gli strumenti ed il metodo che questi utilizza. Dovrebbero in genere essere un po’ meno rilevanti l’impegno e la concentrazione che l’esecutore riesce a dedicare ed i classici fattori imprevisti o di contorno all’attività, tipicamente esterni e non facilmente controllabili dal lavoratore anche se spesso ho l’impressione che anche questi condizionino significativamente i tempi di esecuzione e sovente anche la qualità del prodotto finale.

 

IN CONCLUSIONE: RIFLESSIONI ED AUSPICI

Nell’era del tutto qui ed ora (e possibilmente gratis e senza sforzo) stiamo progressivamente riducendo la nostra sensibilità a comprendere l’impegno (e l’esperienza) necessari per completare  qualsiasi attività diversa da quelle in cui siamo soliti cimentarci e quindi di apprezzarne la qualità ed attribuirgli un equo valore.

Inoltre l’intensificarsi della complessità di qualsiasi genere di attività comporta sempre maggiori competenze e quindi spesso la necessità di avvalersi di diverse professionalità sempre più specifiche. Può anche capitare che all’interno dello stesso team di lavoro, all’interno della medesima azienda in ragione della parcellizzazione del lavoro si cada nella tentazione di sopravvalutare la propria funzione e sminuire quella delle altre persone coinvolte correndo, tra l’altro, il forte rischio di perdere di vista l’obiettivo finale del committente piuttosto che dell’azienda per cui lavorano che dovrebbe invece rappresentare il principale interesse comune da tutelare e valorizzare.

Se nel secolo scorso, con la rivoluzione industriale, si è progressivamente persa la cultura del lavoro artigianale e manuale in generale, questi primi 20 anni del ventunesimo secolo in cui ci si è potuti avvalere massivamente dell’utilizzo di software e di internet sono a mio avviso stati sufficienti per far perdere quasi del tutto la capacità di apprezzare il lavoro intellettuale e svilire l’opera professionale altrui.

 

Ogni occasione analoga a quella di tagliare l’erba e di zappare tra i piantini di lavanda nelle assolate domeniche di fine giugno in cui la fatica fisica si può manifestare concretamente con il sudore, l’aumento delle pulsazioni, con il dolore ai muscoli alla sera e con qualche vescica alle mani nei giorni successivi aumenta in me la stima ed il rispetto per quelli che sono passati prima di noi su questa terra e per tutto quello che hanno fatto per contenere quella fatica e migliorare la condizione di chi fosse venuto dopo di loro.

Oggi non sappiamo più cosa sia quella fatica, ma sono comparse nuove fatiche meno evidenti, ma più subdole e forse persino più deleterie, che non pesano più sulle nostre spalle ma direttamente sulle nostre teste.

 

A settembre per molti inizia figurativamente un nuovo anno lavorativo, di studio, di attività.

Mi auguro che ciascuno nel proprio ambito possa trovare il giusto ritmo ed il coraggio per introdurre o recepire con entusiasmo qualche piccola innovazione nei propri metodi di lavoro per ridurre le proprie fatiche (qualunque essa siano), migliorare la qualità del suo tempo e rispettare un po’ di più quelle e quelli degli altri.

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