Stati di grazia è la mostra allestita dal Museo della Montagna sulla figura di Walter Bonatti.
Stati di grazia è il momento di studio fuori dalla studio che lo Studio Fabbro Martini si è concesso alla fine dell’ultimo giorno di lavoro di questo intenso 2021 prima di scambiarci gli auguri e condividere una fetta di un’originale panettone ricoperto di cioccolato fondente tagliata alla buona, ma su una romanticissima panchina con vista sulla città.
Dottori commercialisti alla scoperta di un eventuale filo conduttore che potesse legare il loro mestiere al rapporto che Walter Bonatti ha avuto con montagne, strapiompi, ghiacci, vulcani, foreste, fiumi, animali selvaggi, tribù primordiali…esplorando queste è riuscito a scoprire anche se stesso.
Nato nel 1930, appartenente a quella che viene definita la “silent generation”, cresciuto con pochissimi mezzi, ma con una grandissima dose di entusiasmo, una curiosità fuori dal comune, un pizzico di ingenuità e, almeno all’inizio, forse anche con un po’ di incoscienza, ma che è riuscito non solo a sopravvivere, ma a vivere appieno e a togliersi non poche soddisfazioni inseguendo alcune semplici intuizioni con tantissimo lavoro…
LEGGERI PER NECESSITA’
Su un pannello a fianco di una gigantografia che ritrae due compagni di cordata non ancora ventenni che si abbracciano e sorridono felici leggiamo:
“Eravamo così poveri da non possedere neppure un passamontagna. Il nostro passamontagna era un foulard, o un sacchetto di cotone o quello del pane, nel quale avevamo praticato due fori per gli occhi. Lo ziano e gli indumenti erano per lo più dei residuati di guerra. La corda, una logora fune di canapa; i chiodi li avevamo ricavati da una barra di ferro, mentre le vitamine ce le fornivano una mezza dozzina di mele pagate per metà. Ma ci sentivamo ugualmente i ragazzi più felici del mondo e anche i più ricchi di voglia di vivere.”
Tale semplicità, data inizialmente dalla necessità, divenne presto metodica e attentamente ponderata. L’idea di portare con sé solo ed esclusivamente lo stretto necessario consentiva di avere lo zaino più leggero e di potersi muovere più agilmente e con meno fatica. Arrivavano al punto di togliere i noccioli dalle prugne secche o il rotolino di sostegno della carta igienica per poter portare un chiodo in più.
I chiodi fatti di ferro estremamente resistente, dovevano però essere altrettanto flessibili per potersi adattare alle pieghe delle minuscole fessure nella roccia in cui venivano battuti.
Anche le corde (almeno quelle venute dopo ai canaponi) dovevano essere robuste, ma al tempo stesso elastiche per attenuare il contraccolpo in caso di caduta.
L’affiatamento tra compagni di cordata era frutto di una magia che si affinava e consolidava condividendo avventura dopo avventura, difficoltà dopo difficoltà, cima dopo cima.
LE REGOLE DEL GIOCO
In montagna come in qualsiasi altro ambiente in cui Bonatti si sia immerso le sue regole del gioco non sono mai cambiate.
Lo studio, la preparazione, la cura dei particolari erano fondamentali prima di ogni partenza. L’obiettivo è sempre stato quello di limitare i rischi per potersi permettere l’improvvisazione; prevedere gli inconvenienti così da lasciare spazio all’imprevisto e far sì che “l’impoderabile” (come lo chiamava lui) non risultasse fatale.
Inoltre Bonatti si concedeva anche il lusso di perdersi due volte nelle proprie avventure. Prima cercando documenti e ispirazione, leggendo, sottolineando e fantasticando; poi rimettendo maniacalmente in ordine materiale, diapositive, ricordi, sensazioni vissute, emozioni provate…
In Alaska ha seguito le tracce di Jack London, altrove quelle di Hemingway, Melville, Defoe e di molti altri romanzieri che con i loro racconti gli avevano descritto nuovi mondi da vivere…
UN LINGUAGGIO COMUNE
Quando all’apice della sua carriera alpinistica decise di dedicarsi ai reportage “grande formato” per la rivista “EPOCA” il suo obiettivo non è stato quello di cercare di esplorare gli ultimi angoli di mondo rimasti inesplorati, ma di muoversi al cospetto delle grandi forze della natura affidandosi esclusivamente alle proprie risorse psico fisiche ed a quelle capacità latenti e straordinarie acquisite dai nostri antenati in epoche ancestrali e che la civiltà ed il progresso stanno progressivamente lasciando sopire.
Per comunicare con popolazioni primitive, muoversi disarmati nel regno di animali feroci, sprofondare verso il centro della terra o per orientarsi all’interno della jungla più fitta occorre mettere da parte millenni di cultura tecnologica e riscoprire quell’empatia universale innata nella specie umana.
In questo caso dunque il linguaggio comune non è stato né quello dei numeri, né quello della poesia ma il denominatore universale rimane sempre solo quello di riuscire a sentire i messaggi che ci vengono lanciati dall’ambiente che ci circonda e da coloro con cui abbiamo a che fare…
I SUPER POTERI
Lo stato di grazia è strettamente personale anche se scaturisce spesso da un’esperienza condivisa.
Per Bonatti era come essere investito di super poteri che consentivano a corpo, testa e spirito di collaborare alla perfezione sprigionando energie che non si immaginava di avere grazie alle quali gli è stato possibile superare i propri limiti e probabilmente quelli di molti altri.
Lui riteneva che non fosse nulla di straordinario e che chiunque potesse raggiungerlo semplicemente imparando non solo a sentire, ma anche a sentirsi.
Credo che per riuscirci nuovamente possa tornare utile cercare di eliminare un po’ di rumore di sottofondo e ritrovare un po' di leggerezza.
I frenetici giorni che ci hanno portato al Natale e presto alla fine di quest’anno decisamente frizzante hanno sicuramente alzato il volume del rumore che ci circonda, ma sono convinto che qualche giorno di riposo, alcune semplici passeggiate e magari anche solo un buon libro possano aprire anche a tutti noi nuovi sconfinati orizzonti.
E chissà che non possano diventare il preludio di un brevissimo stato di grazia a prescindere da Quello che Gambadilegno, Draghi, Fate e Cavalieri vorranno riservarci per il nuovo anno.