Ogni decisione, ogni nostra azione perché possa essere sostenibile nel tempo, deve essere equilibrata.
In ragioneria come prima cosa ci hanno insegnato che Dare ed Avere devono quadrare e “bilanciarsi” a vicenda.
L’emergenza del corona virus finora è stata affrontata con misure di contrasto alla sua espansione che inevitabilmente hanno ridotto non solo le nostre libertà, ma al contempo hanno rallentato o completamente fermato molti settori, svariate filiere e stanno pesando su molte economie.
Ogni decreto, ogni DPCM, ogni decisione, ogni campana che suona ha un costo la cui copertura, finora, è stata semplicemente rimandata al futuro mediante l'azzeramento dei vincoli derivanti dal patto di stabilità e l’accensione di nuovo debito pubblico che viene sottoscritto ad ogni nuova emissione grazie soprattutto all’appoggio incondizionato offerto dalla Banca Centrale Europea.
Nessuno, finora, ha ancora osato ipotizzare chi, quando e come dovrà ripagare il prezzo di questa emergenza senza precedenti, ma qualche profondo conoscitore di scienza delle finanze probabilmente sta già calcolando quanto costa risparmiare un nuovo contagio, salvare una vita in più. E’ cinico da dirsi ed a scriverlo mi vengono addirittura i brividi, ma anche le misure che vengono continuamente aggiornate immagino che siano il frutto di un sommario dare ed avere tra la vita, la morte e l’economia che potrebbe conseguirne con o senza il nuovo provvedimento.
Nella settimana appena trascorsa tra i tanti messaggi, post, video e commenti pseudo umoristici circolati sui social mi ha colpito il seguente che riporto integralmente: “Il prossimo decreto di Conte sarà un decreto deduttivo. Il decreto affermerà che costringendoci a stare a casa ci ha fatto risparmiare un sacco di soldi così suddivisi: consumo di benzina, risparmio 200 euro al mese, ristoranti, pizzerie, bar, pub, discoteche, ecc, ecc, risparmio 300 euro al mese, niente regali a mogli, mariti, amanti, superiori, capi, maestre, ecc, ecc 200 euro al mese, niente regali per compleanni, comunioni, battesimi, matrimoni e quindi niente vestiti nuovi per questi eventi, euro 700, minori lavaggi per minor uso e consumo di vestiti, camicie, maglie, ecc 100. Quindi il governo ci ha fatto risparmiare almeno 1.500 euro al mese e, data l’emergenza, non tasserà questo nostro guadagno.”
Probabilmente le dinamiche di consumo di una famiglia media italiana non sono proprio come quelle sopra descritte, ma è abbastanza sicuro, anche in assenza di statistiche ufficiali, che nel mese di marzo molte di queste abbiano drasticamente ridotto i consumi routinari (eccezion fatta per generi alimentari, di igiene per la casa, vitamine, integratori, farmaci) e sostanzialmente azzerato quelli di beni durevoli, in quanto da un lato materialmente impossibilitate all’acquisto e dall’altro spaventate per l’aspettativa di un futuro caratterizzato da ulteriori incertezze e restrizioni.
Sebbene il sito dell’INPS sia stato preso d’assalto per presentare la domanda di indennità da 600 euro ed i Comuni si stiano già organizzando per distribuire i buoni spesa per generi di prima necessità, la maggior parte degli italiani continua ad essere caratterizzata da lavoratori dipendenti e pensionati e nel mese di marzo non dovrebbe aver subito significative contrazioni dei propri redditi e delle proprie entrate.
Le borse di tutto il mondo hanno fatto registrare ribassi molto significativi e nonostante in questi periodi l’investitore medio subisca di conseguenza perdite considerevoli, alcuni dallo stomaco un po’ più robusto riescono anche a guadagnarci cavalcando la forte volatilità dei mercati o speculando con strumenti che solo la finanza più esasperata può concepire (mi riferisco a quelli che ti fanno tanto più guadagnare quanto più scommetti che le cose vadano male in futuro). I risparmi degli italiani però sono in buona parte concentrati in immobili e l’eventuale ulteriore parte investita in prodotti mobiliari non dovrebbe mai essere allocata per intero nel comparto azionario.
Da queste grossolane considerazioni potrebbe effettivamente ritenersi sensato che almeno una parte delle famiglie italiane in questo mese abbia potuto risparmiare qualcosa o essere particolarmente liquida qualora avesse preferito “uscire” dal comparto azionario incassando le perdite o più fortunatamente salvaguardando il capitale apprezzatosi in passato.
Per mese di marzo i datori di lavoro hanno svolto la funzione di cuscinetto e polmone finanziario per i propri collaboratori e per i mesi successivi (almeno aprile e maggio) lo Stato ha messo in campo in modo largo e diffuso gli ammortizzatori sociali. Per il dopo bisognerà salvare i posti di lavoro e quindi le aziende innanzitutto facendole ripartire quanto prima seppur con tutte le precauzioni del caso, ricercando quindi un nuovo equilibrio tra salute ed economia alzando la posta in gioco.
Sarà a mio avviso fondamentale cercare di mantenere quanto più possibile salda la relazione tra reddito e lavoro evitando di distribuire a pioggia indennità di sussistenza per stare a casa.
Dopo aver parlato di DARE REDDITO per AVERE SALUTE immaginiamo ora quali strade si potrebbero seguire per iniziare a recuperare un po’ di quanto distribuito alimentando nel contempo non solo le ripartenze del mondo produttivo, ma anche il suo sviluppo.
L’immissione di liquidità nel sistema imprenditoriale sicuramente è fondamentale ed urgente, ma le modalità con cui viene immessa possono fare la differenza.
Un conto per l’impresa è farsi carico di altro debito, altra cosa è allargare la propria compagine sociale aprendosi allo stimolo offerto da nuovi soci capaci di portare oltre che capitale, anche energie ed idee nuove. Un conto è restituire il prestito emergenziale in due o tre anni, altra cosa è poterlo fare in 10 o 15 e altra cosa ancora è poter fare affidamento sul denaro per un progetto di lungo periodo avendo natura di capitale di rischio.
Da qui la proposta di fare in modo che una parte della liquidità oggi a disposizione delle famiglie possa essere fatta confluire nel sistema imprenditoriale nazionale o addirittura europeo con una norma che agevoli gli investimenti in capitale di rischio anche nelle PMI tradizionali analogamente a quanto è già stato sperimentato per tutto il comparto delle imprese innovative o dei PIR.
La seconda proposta è quella di contenere in modo apprezzabile il cuneo fiscale e contributivo sul costo del lavoro per far arrivare più denaro nelle tasche di chi lavora e nello stesso tempo di agevolare la tassazione dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo in funzione del lavoro che ogni organizzazione è in grado di offrire. Qualcosa di esattamente contrario a cosa è stata l’IRAP per circa 20 anni, ma che metterei in pratica in modo molto più semplice applicando un moltiplicatore fiscale al costo del lavoro effettivamente sostenuto.
La terza ipotesi è molto poco fantasiosa, ma molto concreta e riguarda l’incremento strutturale delle aliquote IVA, già prevista dalle clausole di salvaguardia che non sarà più possibile disinnescare. L’aumento generalizzato dell’IVA sebbene possa gravare su una ripresa più marcata dei consumi, ha il “vantaggio” che è distribuito su tutta la popolazione sebbene il peso, nella fantasiosa visione di cui sopra, almeno nel primo periodo lo sconterebbero principalmente coloro che conseguono redditi diversi da quelli di lavoro (dipendente e autonomo) e di impresa.
Un’ultima fantastica ipotesi dell’AVERE è collegata alla speranza che non venga introdotta una sorta di imposta indistinta ed indiscriminata sul patrimonio delle famiglie italiane. Anzi si richiederebbe l’entrata in vigore della riforma del catasto, pronta da anni e poi inspiegabilmente congelata, per meglio allineare le rendite degli immobili ai valori di un mercato che negli ultimi 10 anni ha subito delle evidenti trasformazioni ed ancora ne subirà e quindi per rendere un po’ più equo il prelievo dell’IMU e magari anche dell’altra patrimoniale mascherata che è la tassa rifiuti.
Se proprio si volesse chiedere un piccolo contributo alle famiglie più solide patrimonialmente sarebbe opportuno che vi fosse una sorta di politica comune, anche qui auspicabilmente almeno a livello europeo, stante il fatto che i patrimoni mobiliari si possono muovere molto facilmente e come sempre più sono cospicui più vale la pena mettere in pratica soluzioni per trasferirli in lidi più sicuri da tassazioni vessatorie. Inoltre sarebbe opportuno distinguere in relazione a come è stato impiegato il proprio patrimonio con manovre che diano il tempo a famiglie di organizzarsi per investirlo ed al tessuto imprenditoriale per elaborare progetti degni di essere finanziati, premiando quei risparmiatori che decideranno di destinare una parte del proprio patrimonio a sostegno dell’economia reale o a servizio del debito pubblico invece di tenerlo sotto il materasso.
Spero che questo fantasioso esercizio, partito dalle sensazioni del presente, possa essere minimamente utile per iniziare a immaginare un futuro con dignitoso senso pratico, tanta speranza ed una visione che provi ad andare oltre l’orizzonte settimanale che sta caratterizzando la legislazione “taglia e cuci” di questo periodo di emergenza.