TORNERA’ ANCHE IL COLORE

Dopo l’ennesima notte in cui non ho dormito troppo bene ho deciso di festeggiare il primo giorno di primavera del 2020 non solo senza guardare la TV, accendere il computer, sentire la radio, dimenticando il telefono e con esso i social e le chat alla ricerca dell’ultima notizia, ma soprattutto con l’idea di voler tornare a fare un’enorme fatica fisica stando quanto più possibile all’aria aperta.

Avendo l’enorme fortuna di abitare fuori città in un piccolo comune di campagna il desiderio ha potuto essere esaudito nonostante le restrizioni sempre più stringenti imposte per contenere l’emergenza virale ed oggi che è già il secondo giorno di primavera posso finalmente dire di aver male ad ogni muscolo del mio corpo e di aver dormito un po’ meglio.

Gambe, braccia e spalle sono doloranti, la schiena è rigida come un tronco di legno, gli addominali non riescono a rilassarsi, le mani pulsano e persino le dita sono gonfie e fanno male ed ora anche fatica a muoversi banalmente sulla tastiera del portatile appoggiato sulla pancia.

Nel weekend siamo soliti fare la spesa per tutta la settimana, ma ligi alla regola di non poter uscire dal proprio territorio comunale invece di andare in auto al solito supermercato, mi sono armato di zaino da montagna e borsoni ed a piedi sono andato “in centro” dal mitico panettiere Sandro ed al mercato che si teneva in piazza. Eccezion fatta per 5 chili di arance, una decina di kiwi ed altrettante banane sono tornato a casa felicemente carico di pane, frutta, verdura, ma anche carne, uova e salumi prodotti attorno a casa a km zero nel vero senso della parola. Nel giro ad anello avrò percorso non più di 5 o 6 chilometri di sali e scendi, ma nel tragitto di ritorno ho dovuto fermarmi più volte a riposare braccia e mani appoggiando le borse in terra ed invertendo i carichi ad ogni ripartenza.

Dopo pranzo e dopo una mezzoretta di riposo al sole mi sono dedicato all’orto. Un angolo di giardino non più grande di 50 metri quadrati, ma che in estate è in grado di ospitare, ordinati su più file parallele, zucchini, cetrioli, fagiolini, gli immancabili pomodori e, un po’ più alla rinfusa, diverse piantine di basilico, ciuffi di prezzemolo, svariati fiori colorati, un po’ d’aglio, alcuni peperoncini ed anche qualche zucca che corre regolarmente oltre i confini segnati dai classici odori (salvia, menta, alloro e rosmarino). In autunno inverno quel fazzoletto di terra accoglie invece cavoli di tutti i tipi, finocchi ed un po’ di insalatina. Ormai sono rimasti solo alcuni cavoli cappuccio viola ed una dozzina di finocchi ed è tempo di preparare il terreno per una nuova stagione, ma in ossequio al buon proposito della giornata il motocoltivatore risparmierà fatica, rumore e benzina perché tutto sarà fatto rigorosamente a mano.

Nel riesumare la vanga è tornata in mente l’immagine di Pino e degli insegnamenti ricevuti ormai tanti anni fa quando, appena adolescente, avevo deciso di imitarlo trasformando un quadratino del giardino dei miei in orto dopo aver trascorso memorabili giornate della mia infanzia facendogli compagnia appollaiato sul parafango delle ruote posteriori del trattore ogni qualvolta lo sentivo muoversi nei campi o nelle vigne.

Fin quando si vede farlo agli altri qualsiasi lavoro sembra un gioco da ragazzi ed anzi spesso si è capaci di sciorinare con prosopopea inutili giudizi, vacui consigli e fastidiosi suggerimenti ma quando si trova il coraggio di mettersi all’opera si scopre che l’attività non è proprio così semplice, che ci vuole molto più tempo di quanto si avesse immaginato ed un sacco gigante di impegno, soprattutto se hai ambisci di provare a fare bene.

Fu proprio quello che accadde la prima volta che provai ad utilizzare una comunissima vanga per preparare una piccola aiuola in cui seminare una bustina di rucola di cui all’epoca andavo ghiotto. Ricordo come fosse ieri l’entusiasmo nel recuperare nella casetta della legna il vecchio attrezzo dalla testa arrugginita e dal robusto manico incartapecorito e la corsa che feci per raggiungere quella fetta di terreno in fondo al giardino dietro l’ultimo filare di vite in cui ero stato autorizzato a fare i miei esperimenti. Mi misi al lavoro con tutta la grinta del caso, ma sia premendo con la gamba destra, sia con la sinistra l’attrezzo faticava ad affondare nel terreno e pur saltandoci sopra con entrambi i piedi il risultato era veramente deludente e faticosissimo, ma l’orgoglio e la cocciutaggine tipici di un adolescente, per di più del segno del Toro, mi facevano tenere duro, spronandomi ad insistere.

In quel posto nessuno poteva notare i miei sforzi ne tanto meno essere interessato a quanto stessi facendo tranne Ida (la moglie di Pino) che mi adocchiò venendo a prendere con il secchio l’acqua nella “tampa” (bacino di raccolta dell’acqua piovana dai tetti delle nostre case) per innaffiare i piantini nella serra. Si avvicinò e le spiegai le mie intenzioni. Sebbene lei fosse maestra di coltura d’insalata si limitò a suggerirmi in piemontese stretto di cercare di eliminare quante più radici riuscissi della gramigna perché diversamente l’avrei poi mangiata insieme all’insalata.

Dopo poco però arrivò Pino che mi fece vedere come si faceva a vangare. Parlò anche lui poco, ma agì con l’esempio reimpostando quello che avevo iniziato. Si doveva innanzitutto fare il solco iniziale profondo i circa 30 cm di lunghezza della vanga e largo almeno un metro rovesciando la terra dalla parte opposta alla direzione in cui si sarebbe proseguito. Il solco è fondamentale per garantire quel minimo spazio di manovra alla vanga che consente di raccogliere, sollevare e ribaltare la zolla a testa in giù davanti a te. Bisogna quindi proseguire lungo la larghezza del solco con zolle “sottili” non solo perché così eviti di spaccarti la schiena, ma anche perché in questo modo è più facile sradicare le radici dell’erba sull’unico lato che non viene tagliato dalla vanga e nel rivoltare la terra questa si frantuma, facendosi leggera da sola ed evitandoti così l’ulteriore fatica di doverla rompere. Con riferimento al lato su cui lavorare mi suggerì di usare la gamba più forte per premere ed il braccio corrispondente per sollevare. La mano in punta al manico serve invece “solo” per guidare e fare leva ma è comunque fondamentale nel dare la giusta inclinazione d’affondo che non deve mai essere troppo verticale. E’ allora che scoprii, a suon di tentativi, di essere più forte sul lato sinistro del mio corpo sebbene rimanga un destro naturale.

Anche lui mi disse di ripulire le zolle dalle erbe rizomatose (quelle che si propagano con pezzettini di radice come la gramigna) per ridurre la loro diffusione. Nonostante i suoi oltre 70 anni si piegò con disinvoltura su una zolla e mi insegnò a riconoscere le graminacee infestanti mostrandomi il gesto da fare per estrapolare le radici da buttare nel mucchio degli scarti insieme alle pietre.

Impiegai ben due pomeriggi per preparare a regola d’arte quel fazzoletto di terreno finendo e finii con delle enormi vesciche alle mani.

Anche oggi che conosco i trucchi del mestiere e la pelle delle mani è un po’ meno delicata per rivoltare 2/3 del nostro piccolo orto (una fettina destinata all’insalata era già stata preparata il precedente fine settimana) ho impiegato quasi 5 ore terminando di lavorare che era praticamente buio.

Per chi non l’ha mai fatto forse non sarà facile capire quanto bassa e pesante possa essere la terra ma sono convinto che riuscirà bene ad immaginare quanta vita porti con sé, vermi compresi!

Prima di riuscire a mangiare una rucola degna di chiamarsi tale dovetti vangare tante altre volte, ma di volta in volta i fazzoletti si allargarono sempre di più e con essi le varietà di semi e le esperienze da fare.

Oggi Maya si è svegliata che voleva fare tutto lei, da sola e senza che le si potesse dire nulla. Dopo la spremuta ed il pane tostato ha anche voluto provare a vangare con una vanga alta il doppio di lei. Ha imparato che la terra è dura ed ha dovuto ammettere che lei era ancora troppo leggera perché possa riuscire a frantumarla, ma nel contempo ha scoperto di avere ottime potenzialità come raccoglitrice di radici di gramigna.

Insieme e, questa volta, con l’aiuto anche dei capitali (rappresentati nel caso di specie da una piccola motozzappa!) abbiamo preparato la terra di un altro angolo di giardino decisamente più arido e scosceso dell’orto per seminare un mix di fiori selvatici.

Se il tempo ci assiste presto spunteranno i primi papaveri e poco per volta quell’angolo di terra che oggi ci ha stancato ed impolverato ci regalerà un tripudio di fiori perché prima o poi torneranno a rifiorir anche i colori…

Tornerà il colore ne sono sicuro. E con questo anche la gioia ed un po’ di spensieratezza mentre della fatica di queste giornate rimarrà solo il ricordo da raccontare ai nipotini!

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