UN PICCOLO GRANDE UOMO: UNO DEI TANTI

Questa è la storia di uno dei tanti figli dell’entusiasmo, della speranza e della gioia per la fine della seconda Grande Guerra. Uno dei primi di quella generazione di baby boomers che ha condizionato e condiziona tanto il nostro presente.

Il papà del neonato, in quei primi giorni del 1946, andò a registrarlo all’anagrafe con il nome di Cesare in ricordo ed onore di un suo caro amico scomparso poco prima della sua nascita.

Un nome dal significato e dalla storia così importante e nel contempo così carico di aspettativa verso il futuro non piaceva però alla mamma che, probabilmente, vedeva in lui semplicemente il figlio più giovane, il più piccolo tanto da iniziare a chiamarlo Paolo. Parlando di lui era solita menzionarlo come “El mè Paolin” aggiungendo un diminutivo quasi fosse più fragile oltre che in segno di tenerezza materna.

Questo bambino crebbe alla Madonna del Pilone, giocando per le strade quando ancora non c’era l’asfalto ed imparando a nuotare in quel tratto di fiume Po quando ancora si poteva, non tanto perché fosse meno inquinato, ma semplicemente perché non si andava al mare e a nessuno, dotato di poca istruzione ma di tanto semplice buon senso, sarebbe mai venuto in mente di impedire ad un ragazzino di entrare nell’acqua in piena estate.

Anche per suo fratello, i compagni di scuola e la gente della Madonna, Cesare divenne più semplicemente Paolo e prestissimo lo diventò anche per il papà.

A Paolo, che era un curioso di natura, piaceva leggere e studiare e, sebbene fosse figlio di piccoli costruttori di case, guai a fargli piantare due chiodi o a dargli una cazzuola in mano!

Aveva i capelli neri e portava gli occhiali, potremmo dire che assomigliava un po’ all’Henry Potter della famosa saga. Il pallone gli piaceva, era un po’ troppo fisico per lui, ma pare avesse un’ottima visione di gioco e un buon senso della posizione doti importanti per un difensore. Più in là con gli anni ha giocato anche come estremo difensore ed un bambino racconta di averlo visto nascondere gli occhiali dietro il palo della porta per poi riprenderli quando l’azione si spostava nell’area avversaria e riuscire così a seguire la palla…

Non ha mai fatto magie, ma gli piaceva aiutare le persone. Avrebbe voluto fare il medico, ma si accontentò per diversi anni di assistere, pulire e confortare tanti malati disperati sui treni della speranza che andavano a Lourdes.

Riformato per il servizio militare, fu presto costretto ad andare a lavorare, ma frequentò l’università della sera. Per un po’ quindi studiò economia anche se, a quell’epoca, si imparava di più e più in fretta sul campo, soprattutto se, come nel suo caso, si lavorava nel settore che un certo Henry Ford aveva addirittura indicato essere “l’anima del commercio”.

Di pubblicità ne ha vista, studiata e contribuito a produrne tanta, lavorando molto ed imparando moltissimo per e da un maestro che di nome faceva Armando.

Non ingannare il consumatore è il primo comandamento di un buon pubblicitario e così Paolo nel tempo approfondì la conoscenza di tanti prodotti, delle aziende che li producevano e della loro storia. C’è stato un tempo in cui ironicamente si vantava di essere un profondo conoscitore delle sensibilità femminili e dei loro frequenti cambi d’umore avendo studiato e cercato di capire per oltre 40 anni il loro ciclo ormonale e diventando così uno dei massimi esperti di assorbenti per signora d’Italia se non del mondo intero!

Si è sposato firmandosi come Cesare, ma anche a casa è sempre stato Paolo.

Di natura lei era attaccante, pancia, cuore e fantasia, lui difensore, testa, cuore e tanta pazienza.

Insieme cane e gatto, complementari che si sono completati e aiutati a vicenda per una trentina di anni trascorsi affettuosamente insieme. Poi lei che diceva di avere un motore di una 500 dentro la carrozzeria di un camioncino se ne è andata il 5 maggio come Napoleone, cantando a squarciagola. Aveva appena 56 anni.

Paolo è stato un papà giusto, coerente e attento smussatore di spigoli. Spesso sbuffava e ogni tanto alzava la voce, ma più la alzava meno veniva ascoltato: in famiglia. In quei momenti la sua Lei lo lasciava un po’ sfogare e spesso, quando era bello arrossato in volto, scoppiava in un risata contagiosa. Come tutti i buoni lasciava correre e, quando non scoppiava a ridere anche lui, erano sufficienti una sigaretta e venti minuti di TV in cui poteva riprendere a “comandare” per fargli dimenticare se non tutto quasi e di sicuro per fargli passare ogni rancore.

In realtà Paolo Cesare veniva molto ascoltato pur parlando poco e soprattutto lentamente.

Lo si ascoltava perché parlava raramente senza aver prima pensato e ripensato ancora ed il risultato non era mai banale.

Lo si apprezzava per la battuta sempre pronta e il suo umorismo sottile.

Appassionato di STORIA: cercava, scopriva, studiava e archiviava documenti e oggetti che erano appartenuti alla vita di qualcuno passato prima di noi su questo mondo e da cui rimaneva sempre affascinato chiunque fosse stato. Leggeva tantissimo di battaglie, di re, di grandi imprenditori e di grandi uomini in generale stimandoli non tanto per quello che erano riusciti a fare quanto piuttosto per quello che erano riusciti a far fare a tante altre persone che avevano creduto in loro.

 

Paolo Cesare se ne è andato esattamente un anno fa non per il Covid, ma per tutto quello che questo maledetto virus ha portato con sé: solitudine, paure, incertezze, chiusure, ritardi, errori di valutazione, conflitti…

Ha lasciato tutto in ordine.

Nella foto è rappresentato parte di quello che quel giorno era arrivato per posta.

  • due riviste de L’Alpino anche se lui non aveva mai fatto il militare, ma lo erano stati il papà che lo aveva chiamato Cesare e il figlio;
  • una bolletta della TIM, di quel telefono che gli avrebbe potuto salvare la vita, ma che non è più riuscito a trovare;
  • la lettera di un centro di ricerca medica che nel suo piccolo contribuiva a finanziare

CHI DONA SORRIDE è l’ultimo sintetico messaggio che ha lasciato quel piccolo grande uomo del 1946.

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