Il 30 dicembre il primo Cinepanettone della storia d’Italia è stato nuovamente proiettato nei cinema italiani per festeggiare il suo quarantesimo compleanno.
Le sale hanno fatto il sold out e, con un unico spettacolo, è stato record di incassi della giornata.
Con i nonni romani, Maya, la mamma ed alcuni amici abbiamo dato il nostro contribuito al rinnovato successo di questo film cult.
Ancora una volta abbiamo riso sinceramente e ritrovato, per un centinaio di minuti, leggerezza, spensieratezza, condite da un pizzico di cafonaggine ed una montagna di pop-corn unti e salati.
Quando il giorno dopo, a colazione, ho chiesto a Maya se avesse notato delle differenze significative in quello spaccato di realtà rispetto a quella attuale mi ha risposto decisa di no. Alla terza volta che le chiedevo, insistendo, se era proprio sicura di non aver visto un mondo diverso in quel film mi ha risposto con:
“E non m’angoscià!”
E sulla battuta di Christian De Sica siamo scoppiati a ridere!
Ora che anche il 2023 è alle spalle e le mie vacanze di Natale stanno per finire, sento il desiderio di soffermarmi su quella curiosità non soddisfatta da Maya, mentre torno in treno alla routine quotidiana che inizierà, questa volta sì senza alcuna differenza rispetto al passato, con lo studio dell’ennesima legge di Bilancio, approvata poco prima dei preparativi per il cenone di Capodanno con sessioni notturne delle commissioni parlamentari. Il tutto nonostante alla conferenza stampa di presentazione il nostro Presidente del Consiglio avesse orgogliosamente annunciato che il disegno di legge proposto dal Governo sarebbe stato blindato e non avrebbe potuto subire emendamenti di alcun genere.
Bugia!
La prima differenza che noto è che nel 1983 gli italiani, per la prima volta in assoluto, avevano potuto vedersi allo specchio in un film negli stessi giorni in cui vivevano la medesima esperienza. Non era ancora stato coniato il termine “cinepanettone”, ma i fratelli Vanzina avevano cercato di proporre quello di “istant movie” in una nuova forma di neo-realismo all’italiana. Oggi, grazie a quello strumento che teniamo sempre in mano e che contribuisce ad offuscare rapidamente la vista, siamo continuamente spettatori e al contempo protagonisti del film della nostra vita e di quella di amici, follower, influencer e di tutto quello che in qualche modo gli algoritmi hanno deciso che possa essere di nostro interesse.
La scena non è più solo nazionale, ma spazia in tutto il globo.
La seconda macroscopica differenza che vedo è che 40 anni fa non esisteva il politicamente corretto.
La società era più “cafona”, ma forse più concreta, diretta e meno spaventata.
Si fumava in faccia alla gente, parlava ad alta voce, le parolacce erano parte del linguaggio comune, i dialettismi pure, impercettibile l’attenzione per le differenze di genere, per non parlare di quella verso la comunità LGBTQ+.
Cristian DeSica scoperto dalla fidanzata americana e successivamente, con disprezzo, dai genitori nel letto con il suo maestro di sci si definisce semplicemente “moderno”. E quella scena tragicomica si dimostra, con il senno di poi, moderna per davvero.
La terza differenza che ho riscontrato sta nella voglia di apparire, di ostentare, di far vedere il successo maturato. Tutto ruotava attorno alle Lire (milioni di Lire) molto più di quanto oggi possa sembrare ruotare attorno all’euro. Il denaro conta tanto oggi come allora, ma vale meno e, forse, non è più un valore assoluto, almeno a parole.
Oggi l’automobile, l’orologio, l’abbigliamento, gli accessori di moda sono meno status symbol, mentre sono diventati tali i centri di benessere, il CrossFit, il cibo sano e biologico, i viaggi e tutto ciò che evidenzia la possibilità di prendersi cura di sé, in termini di tempo oltre che di portafoglio.
Il tempo libero è la nuova vera ricchezza.
In quegli anni si invitavano regolarmente gli amici a casa, molto di più di quanto non si faccia oggi. Si cucinava insieme, si parlava di più, ci si prendeva in giro ed al contempo si brindava e ballava all’arrivo del Nuovo Anno dopo aver discusso animatamente fino a 5 minuti prima di ideali, di massimi sistemi, di liberismo, di socialismo e di comunismo.
La politica era ancora una cosa seria, al pari del calcio, sebbene non sempre nella pratica i comportamenti rimanevano coerenti come la fede sportiva.
Tra i 30 e 40 anni i nostri genitori miravano ad acquistare la seconda casa, al mare o in montagna a seconda dei gusti. Oggi invece i 18enni rimandano l'esame per prendere la patente per non accumulare altro stress e si fanno portare la cena in un sacchetto a pedali; noi, tra i 40 e i 50, parliamo molto meno di ideali e abitiamo le case che ci hanno lasciato papà e mamma, a volte pure lamentando le elevate spese di riscaldamento, nonostante gli interventi di efficientamento energetico finanziati dallo Stato.
L’Italia sembrerebbe molto cambiata, ma Maya non ha notato particolari differenze. Normalmente la sua voce non mente, la sua impressione è pura, generalmente corretta.
Forse siamo più simili ai nostri genitori di quanto crediamo di essere.
Nonostante si parli di meno e le parole siano meno colorate, si cucini poco sebbene i Master Chef si sono moltiplicati a dismisura, qualcosa è sopravvissuto di quella borghesia, di quelle differenze e di quegli scontri fra classi sociali, tra chi ha comunque molto e chi ha molto poco, ma soprattutto è rimasto identico quel bisogno di ripetere alcuni veri e propri riti di gruppo che richiamano la nostra gioventù e, più in particolare, quegli anni, quei costumi, quell’umorismo.
Il romantico dialogo tra generazioni (monologo perchè Maya ha parlato molto poco) si chiude con le parole che Mina rivolge a Blanco:
“Se non mi domando chi eravamo, io non mi ricordo chi siamo
per un briciolo di allegria
Ra-pa-pa-pa-pa-pa-pa-pa”