“Ma che differenza fa passare sul marciapiede o sul mancorrente del ponte se quest’ultimo è largo più che a sufficienza per far stare comodamente entrambi i piedi?” mi chiese tanti inverni fa un caro amico rientrando in città dal nostro consueto allenamento di resistenza che prevedeva una lunga corsa su e giù tra le ripide e tortuose stradine della collina torinese.
Roby all’epoca oltre al canottaggio aveva già prepotentemente in testa la montagna ed era galvanizzato, ma anche un po’ tormentato dall’idea di voler attraversare l’affilata cresta dei Lyskamm non appena fosse tornata la bella stagione.
Siamo cresciuti con la convinzione che per sperare di riuscire a fare bene servissero, tra l’altro, tanta fatica e tanto ALLENAMENTO e quindi quale occasione migliore del mancorrente del ponte di Corso Vittorio Emanuele per iniziare a prendere confidenza con gli spazi (ed i vuoti) tipici di quella lingua di neve e ghiaccio a 4.500 metri di altezza?
“No dai! se caschiamo l’acqua è gelata…” risposi io senza troppa convinzione.
Ma prima ancora che finissi di dirlo il mio compagno di corsa si era già arrampicato sul mancorrente.
Si gira, mi guarda e ride!
Ed io, dopo aver effettivamente verificato che la pietra umida della balaustra fosse abbastanza larga per far stare i miei piedi, lo seguo con quel pizzico di incoscienza in più che si può avere a 16-17 anni.
Lui era già quasi arrivato al primo pilone mentre io ero appena riuscito a salire sul parapetto. Partii per non rimanere troppo indietro, ma dopo i primi timidi passi mi sento urlare “GUARDA AVANTI!”. Alzai la testa e mi resi improvvisamente nuovamente conto di tutto quello che c’era attorno a me e che la mia mente aveva totalmente cancellato essendo interamente dedicata a ponderare il passo successivo. Per un attimo riscoprii le auto, il loro rumore, i fari, la nebbiolina che saliva dal fiume enfatizzata dalle luci del ponte, i passanti increduli dello spettacolo, il Castello del Valentino, il vapore che usciva dalla mia bocca…
Camminare divenne facile e naturale e arrivai anch’io al primo pilone che proponeva finalmente uno slargo, ma anche nuove difficoltà rappresentate da un fondo decisamente più inclinato e dalla necessità di dover fare qualcosa come degli scalini.
Roby era già arrivato in fondo e da laggiù mi urlò “CORRI!” ed io aumentai la difficoltà iniziando a correre con il cuore in gola.
Lo raggiunsi. Saltammo insieme giù dalla balaustra e tornammo euforici e saltellanti negli spogliatoi dello chalet per raccontare del nostro nuovo allenamento ai nostri amici e compagni di squadra.
Concludo questo breve aneddoto richiamando la citazione
“HAPPINESS IS ONLY REAL WHEN SHARED”
(La felicità è autentica solo quando condivisa)
lasciata da Christopher McCandless in uno dei suoi libri trovati nel bus in cui è morto abbandonato tra le terre desolate dell’Alaska e ricordando un passo di "Mi fido di Te" cantato da Lorenzo Cherubini
LA VERTIGINE NON E’ PAURA DI CADERE, MA VOGLIA DI VOLARE
Questa settimana ha iniziato a collaborare con il nostro studio una giovane praticante che arriva da parecchio lontano ed un bel talento di 29 anni ci ha coinvolto per supportarlo nell'avviare una nuova impresa…
Ad entrambi dedico questa storia e l'intera canzone di Jovanotti: https://www.youtube.com/watch?v=LvG12qnnY_g